Il cancro e le lobby
di Paolo Maninchedda
Tutti abbiamo seguito la polemica scoppiata ieri sulle parole infelici del deputato Cinque Stelle Di Maio, il quale ha assimilato l’opportuno organizzarsi dei malati di tumore con l’attività di lobbing.
A me non interessa polemizzare con Di Maio. Richiamo l’accaduto solo perché mentre scoppiavano le polemiche, la memoria mi ha fatto rivedere tanti volti di persone che col tumore ci hanno combattuto e ci combattono. E tutte cercano aiuto, perché non si può reggere il confronto con questa malattia (e con altre) senza aiuti morali, psicologici e pratici. Può capitare di passare da un reparto di chirurgia efficiente, con personale educatissimo e sensibile, a un reparto di degenza in un altro ospedale, dove si va a a fare la terapia, dove si viene presi a pesci in faccia. L’educazione non è regolabile per legge.
Si può sperimentare l’errore seriale. Un mio caro amico è andato nell’ospedale di riferimento sardo per un banale neo maligno sulla cute del cranio. Viene operato, gli tolgono un po’ di pelle, ma dopo neanche due settimane risultava evidente che non gli avevavno tolto tutta la parte affetta dal tumore ed è dovuto andare a Pavia o a Milano a farsi rioperare.
L’ultimo caso è quello del signor Marcello, di Cagliari, ancora irrisolto.