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Il formaggio minacciato

Posted on 23 Marzo 201823 Marzo 2018 By Paolo Maninchedda

Ieri abbiamo cominciato a segnalare che di tutto c’è bisogno fuorché di un aumento dei costi per l’esportazione del formaggio. La delibera di febbraio della Giunta sull’aggiornamento del tariffario veterinario, comporta aumenti significativi (per spedire 100 quintali di formaggio il prezzo dei certificati necessari si quintuplica). Questa la delibera e questi gli allegati.
Mentre in Sardegna accadeva tutto questo (e cioè che anziché avere una visione articolata e organica degli interessi nazionali dei Sardi, in testa il latte, si procede a compartimenti stagni pensando di fare provvedimenti solo di manutenzione amministrativa e non anche di rilevante incidenza economica) la Lombardia fa altro e si prepara a fronteggiare le norme per le importazioni alimentari previste dagli Stati Uniti. L’ente federale americano sta facendo in queste settimane i controlli sulle aziende esportatrici italiane; in Lombardia gli imprenditori sono assistiti dai funzionari Asl, in Sardegna sono soli. Questo significa non avere coscienza nazionale. Nel frattempo cominciano le furbate sul prezzo del latte e del pecorino romano.
Che cosa ha fatto salire il prezzo a 7,60 euro al chilo?
Diciamolo chiaro: il pegno rotativo fortemente voluto da noi e dal Consorzio di Tutela del Pecorino Romano e sul quale ci ha aiutato il solo assessore Paci. Tant’è, finalmente, questo strumento esiste e ha dato subito i suoi frutti.
Perché il pegno funzioni bisogna rispettare il piano dell’offerta, cioè produrre 270.000 quintali di formaggio e non di più (con minime oscillazioni). La banca finanzia la campagna del latte legata a questo piano dell’offerta e accetta le forme di formaggio in garanzia, proprio perché ha sufficienti garanzie di tenuta del prezzo e quindi del valore delle scorte poste a pegno.
Che cosa sta accadendo invece? Sta accadendo che alcuni grossisti, in particolare uno della zona di Piacenza, ma non solo, stanno spingendo qualche cooperativa sarda a incrementare la quantità di formaggio prodotto, con il miraggio di comprarglielo tutto al prezzo attuale. Ovviamente, la violazione al rialzo del piano dell’offerta e l’aumento della quantità di prodotto disponibile (aumento dell’offerta) inevitabilmente fa scendere il prezzo, che è esattamente ciò che il grossista spregiudicato intende ottenere.
Qui o le cooperative e i produttori tengono un alto livello di coesione o fanno male alla Sardegna.
Ma chi più di ogni altro deve intervenire sono le banche, le quali devono dire con chiarezza che finanziano solo la lavorazione della quantità di latte concordata per il piano dell’offerta, perché viceversa le scorte non saranno più in grado, per il crollo del prezzo, di garantire il montante finanziario impegnato. Per cui le banche, ora, o richiamano i propri clienti al rispetto dei patti e al corretto svolgimento della campagna, o perdono denaro.
Non si vuole capire che in Sardegna ci si salva tutti insieme, non facendo piccole speculazioni particolari. È un cambio di mentalità che va realizzato subito. Viceversa accadrà che le banche, sentendo puzza di bruciato, metteranno al rientro tutti i soggetti coinvolti, i quali pur di far cassa svenderanno il prodotto e tutto il percorso messo in atto nei mesi scorsi per far aumentare il prezzo del latte e non essere più schiavi di quattro grossisti e di due speculatori andrà in fumo.
Spero di essere stato chiaro.

Agricoltura, Politica

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