Non sono molte le persone che sanno intimamente che la vita scivola via come un raggio di sole d'estate (lo diceva un grande poeta sardo). Come dire che non c'è tempo da perdere. Io so che la Sardegna ha bisogno come dell'aria di un grande evento storico che riguardi la sua libertà, la sua sovranità e di conseguenza il suo futuro. Noi crediamo che questo evento, che è poi nient'altro che l'inizio della nostra indipendenza, deve vedere i sardi come protagonisti. Chi è il primo avversario? Il primo avversario è il senso di inferiorità e di sfiducia che il lungo periodo autonomista ha inoculato nel cuore di molti. C'è chi pensa e chi teorizza che le grandi sfide non possano e non debbano essere affrontate dai sardi perché sono comunque incapaci di risolverle. Non solo: c'è chi pensa che la militanza politica non sia una palestra educativa che insegna a comporre gli interessi legittimi, i diritti e i doveri che animano la storia. No, c'è chi pensa che la militanza politica sia un difetto, una macchia, per cui non si capirebbe bene dove e come, in quali luoghi e secondo quali procedure dovrebbe formarsi una classe politica, posto che quelli salottieri e del clanismo borghese (metto al potere gli amici delle cene finesettimanali o del club del tennis perché li conosco) non ci interessano. Non basta né la scuola, né l'università, né l'azienda, né il volontariato, perché in questi luoghi non si assiste allo scontro degli interessi la cui sintesi è il bene comune; in questi luoghi si impara a descrivere gli interessi in campo o a rappresentarne solo una parte, non certo a comporli in una visione d'insieme che ruoti intorno all'amore per la libertà umana. Noi proponiamo politica e cambiamento e proponiamo di fare la Sardegna indipendente, europea, moderna, poliglotta, libertaria e ci contrapponiamo a chi pensa che una politica guidata da ideali sia una forma primitiva di costruzione della società. Noi sappiamo che il disprezzo verso la politica ha sempre portato al fascismo; noi sappiamo tutto questo e sappiamo riconoscere sempre e a ogni latitudine quel complesso di inferiorità che sta ammorbando la Sardegna. Ci lavoreremo col sorriso e con la cultura, ma non tacendo nulla del difetto culturale di chi ogni mattina monta un paio di occhiali per vederci più piccoli di quello che siamo. Tutto questo non ha niente a che vedere con il momento politico attuale, ma serve a me per riuscire a reggere lo scoramento quotidiano. Mi devo ripetere che la fatica ha un senso perché ho una fiducia, ho una speranza, perché ancora so amare. Non mi interessano le liti, le crisi, gli assessorati, i frizzi i lazzi e le piante grasse. Devo ripetermi quotidianamente che lavoro per la mia terra perché ho fiducia nei miei concittadini, perché li ritengo capaci di futuro. Devo difendere questa frontiera e contrappormi a chi invece si sente e avverte gli altri come lillipuziani. Il nostro problema politico più grande è la mancanza di educazione alla fiducia e alla libertà.