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Pecorino romano: come rubare con destrezza 200 milioni di euro

Posted on 31 Luglio 20178 Ottobre 2017 By Paolo Maninchedda 5 commenti su Pecorino romano: come rubare con destrezza 200 milioni di euro

Sul Messaggero di ieri si poteva leggere l’evoluzione della guerra del pecorino romano.
I produttori laziali, sostenuti fortemente dalla Regione Lazio e dalla Coldiretti laziale, hanno chiesto all’UE di cancellare la Dop omonima, la Dop del Pecorino romano, la cui tutela è, come noto, affidata al Consorzio di tutela con sede a Macomer.
Quanto vale la Dop?
Vale 200 milioni di euro di scambi commerciali.
L’assurdo è che il più importante conflitto commerciale della storia del dopoguerra venga vissuto in silenzio in Sardegna e invece sostenuto a gran forza nel Lazio, con prese di posizione del Presidente della Regione Zingaretti e dell’assessore regionale all’agricoltura Hausmann e una grande mobilitazione della Coldiretti laziale, animata peraltro dall’ex direttore della Sardegna, il dott. Aldo Mattia.
Perché stentiamo così tanto a dare peso politico alla Dop del formaggio più venduto all’estero dopo il Parmigiano reggiano?
La risposta è semplice. Una pseudocultura della modernità ha attribuito al prodotto una colpa che è dei produttori. Infatti, la crisi del prezzo del latte non è data dalle normali oscillazioni del prodotto, ma dall’incapacità di moltissimi produttori di rispettare i piani dell’offerta, per cui si è prodotto troppo e si è fatto crollare il prezzo. Ma il prodotto non è da buttare, anzi. ha mercato; non ha più il carico di sale che aveva una volta; viene venduto anche in porzionature piccole. Perché privarsi di questo valore?
I produttori romani hanno tentato più volte di sfuggire al disciplinare della Dop e a immettere sul mercato prodotti fuorvianti sotto la denominazione ‘Cacio romano’. Sono stati sempre sanzionati. A questo punto cercano di eliminare definitivamente la denominazione d’origine con un argomento capzioso: il formaggio è detto ‘romano’ ma viene prodotto in Sardegna.
Peccato che fin dal primo riconoscimento giuridico, la convenzione di Stresa del 1951, il territorio della Sardegna sia stata parte integrante della denominazione.  Curiosamente, allora non era compreso il territorio della provincia di Rieti, culla dell’archetipo del Pecorino romano e che grazie alla modifica del disciplinare, il Consorzio ottenne che venisse inserito nel 1995.
Ora bisogna seguire fino in fondo il ragionamento dei laziali (sostenuti dalla Regione Lazio e dalle Coldiretti romana e sarda). Vogliono l’abolizione di un formaggio a marchio per poter forse fare formaggi non a marchio, cioè quelli più remunerativi? Vogliono forse rinunciare a una Dop che vale un mercato di 200 milioni di euro? No, evidentemente no. Il loro intento è semplice: affermare la necessità di perimetrare l’area di produzione di un prodotto non sulla base delle produzioni storicamente effettuate e delle modalità di produzione, ma dell’aderenza del luogo di produzione al nome. Ne conseguirebbe, per assurdo, che tutto il Parmigiano dovrebbe essere prodotto solo ed esclusivamente nelle province di Parma e Reggio, in una parola l’area di produzione dovrebbe andare a coincidere con l’area di nascita dell’archetipo del prodotto. Ovviamente lo scopo non è rinunciare a produrre formaggio a marchio, ma poter occupare la fetta di mercato del prodotto a marchio con prodotti meno controllati.
Tutto questo ha un grande valore politico se la politica intende occuparsi di produzione della ricchezza e non solo di distribuzione assitenziale della ricchezza. Il problema è intendersi su ciò che è compito della politica.

Agricoltura, Politica

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Comments (5) on “Pecorino romano: come rubare con destrezza 200 milioni di euro”

  1. Paolo mannoni ha detto:
    1 Agosto 2017 alle 23:45

    Ritengo anche io giusto difendere la DOP e il prodotto, ma ritengo anche giusto sapere perché si è arrivati a tanto.Mai ci sarebbe stata nel Lazio una levata di scudi simile se non fossero stati provocati. Ora come sostiene lei è giusto difenderci, anche se siamo in una posizione difficile, e certi errori vanno evitati e non ripetuti.
    Saluti

  2. admin ha detto:
    1 Agosto 2017 alle 20:50

    Paolo, io capisco che voi abbiate cose di cui discutere, ma io discuto di un valore che oggi è aggredito e secondo me va difeso. Non tiratemi dentro tutte le vostre storie di cui non so nulla e a quanti interessi in dettaglio obbediscano.

  3. Paolo mannoni ha detto:
    31 Luglio 2017 alle 21:28

    Bene signor Ruzittu ,ha perfettamente ragione, glielo spieghi lei come fare al prof Maninchedda e a quelli del consorzio di tutela, basta cambiare il nome, da Romano a Sardo

  4. Paolo mannoni ha detto:
    31 Luglio 2017 alle 12:42

    L’articolo del Messaggero sul pecorino romano ha sollevato un vespaio nella Sardegna e nel Lazio ,regioni interessate al problema.
    Io come produttore mi son occupato dell’argomento una ventina di anni fa,più o meno i problemi erano gli stessi, i produttori Romani volevano una differenziazione rispetto al Romano prodotto in Sardegna e con piccoli accorgimenti riuscimmo , in un comitato ristretto,a trovare accordi che furono proficui evitando inutili cause in tribunale.
    Oggi tutto questo trambusto scoppia perché il Consorzio di tutela del Pecorino Romano è andato a multare un produttore laziale che chiamava un suo formaggio ‘cacio Romano’ in un caseificio Laziale.
    Il prodotto contestato non aveva nulla a che vedere col prodotto DOP era differente in tutto,non reca alcun danno commerciale e di immagine, essendo un formaggio da 2 kg. e in più fresco, insomma una caciotta,
    l’unico ‘ problema’ era l’aggettivo Romano!!!
    La multa ha avuto lo stesso effetto di’ svegliare il can che dorme’ tutti i produttori Laziali si son sollevati contro e hanno chiesto l’immediata possibilità di utilizzare l’aggettivo in questione ,che il ministero con una nota esplicativa ,ha prontamente concesso.
    Non contenti di questo sono andato avanti chiedendo anche l’uscita dalla DOP e tutto il resto…
    Ora dico io, era il caso di sollevare tutto questo per nulla?
    Applicare norme chiaramente assurde ha portato a questa impasse che sarà fonte di guai e problemi senza alcun motivo.
    Immaginate il contrario, se un Romano fosse venuto in Sardegna a dire che noi non possiamo chiamare un formaggio ‘sardo’…

  5. Tomaso Ruzittu ha detto:
    31 Luglio 2017 alle 10:12

    Questa volontà Romana bisogna accoglierla proprio al volo perché noi siamo danneggiati enormemente nel far capire ai consumatori che il pecorino Romano lo produce il latte Sardo per la quasi totalità ma con la totalità di Pastori Sardi.
    La DOP si divide, se vogliono, altrimenti adoperino quello che gli aggrada e noi teniamoci la DOP con il cambio di ROMANO = SARDO.
    Non voglio di proposito dilungarmi ma avrei individuato il grosso danno invece che ci perviene dai così detti obblighi di cartello e certificazione falsa da parte di questi Industrialotti locali.

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