C’è in La vita va così tutto ciò che un film deve avere: intelligenza, humor, qualità delle immagini e dei dialoghi, solidità dell’intreccio, ottimo commento musicale.
Il film diverte e fa pensare, come insegnava il buon Tullio.
Magistrale l’italiano regionale di Virginia Raffaele, peraltro grande interprete, con sguardi e espressioni capaci di sommuovere l’anima anche del più cinico. Eccellente la sua camminata rustica.
Perfetta Geppi Cucciari nei panni eleganti di un magistrato tutto risolto nella sola sua funzione, come capita di vederne tanti.
Tanti i luoghi comuni, forse inevitabili, perché se si punta a un minimo di successo, si deve essere pop.
Giuseppe Ignazio Loi, nel film il pastore Efisio Mulas, è l’anacronismo intorno al quale si sviluppa l’azione: lui è Prometeo, l’inatteso della storia. Non ha bisogno di recitare molto, lui deve solo stare fermo.
Mi pare evidente una certa influenza del cinema di Paolo Zucca (de L’arbitro e de L’uomo che comprò la luna, non certo del Vangelo secondo Maria, film sbagliato, nato da un libro di intenso e discutibile impegno politico e di bassissima qualità letteraria).
Il film è ambientato in Sardegna, ma non è un film sardo, grazie a Dio.
Un film sardo, un film sul male che ti entra nella vita e non ti lascia più, è Storia di un riscatto, ispirato al sequestro Vinci, il film che svela il lato oscuro, invidioso, carico di rancore di una parte ancora vivissima del mondo pastorale sardo, altro che l’ambientalismo romantico di Efisio Mulas!; il mondo pastorale dell’invidia eletta a divinità dei cuori e delle menti, che odia il successo altrui e che ritiene di essere legittimato a distruggerlo. Un film che svela quanto lo Stato sia stato assente e colpevole, col blocco dei beni, del raddoppio del dolore e della pena per la famiglia, che ci ricorda che ancora oggi i Vinci stanno pagando il mutuo al Banco di Sardegna per il riscatto, senza la traccia di alcuna solidarietà sociale da parte di alcuno, mentre lo stesso Banco pubblicizza i risultati attivi del suo bilancio, frutto della sua mirabile e ferocissima gestione che a distanza di tanti anni fa ancora pagare un debito prodotto dal male di alcuni e dal disinteresse di Stato! Altro che pastori eroici, altro che banca dei sardi. Noi, ancora, il nostro male non lo abbiamo ben guardato in faccia.
Il film di Milani ha il solito rovello, direi classico, di Milani, che ancora il regista non è riuscito a portare al livello estetico più alto, ma ci si sta avvicinando.
Milani è tutto nello scontro tra l’eroe e il mondo, scontro antichissimo.
Uno contro tutti, questa è l’epica di Milani (anche il film su Gigi Riva ha questa struttura profonda).
La vita va così ha dieci-quindici minuti di troppo e sono tutti nella volontà di voler verbalizzare tutto, invece la poesia, cioè il potere di significare oltre le parole, sta nel dire il massimo col minimo. Il film poteva finire con l’iscrizione sulla lapide di Mulas. Poteva avere qualche intermezzo milanese in meno. Poteva evitare il dialogo sulla spiaggia tra Abatantuomo e Mulas e fermarsi a quello tra lui e l’autista che lo conduce a Bellesamanna. È coeso al principio e slabbrato alla fine. Il problema di Milani è decidersi tra prosa e poesia nella commedia. O fa l’una o fa l’altra. Se questo film fosse stato visto da un poeta prima della sua edizione definitiva, avrebbe visto la sua intensità emergere di prepotenza e stagliarsi dinanzi allo spettatore come un’agnizione, come l’aria fresca al mattino a Bellesamanna.
Attendo la prossima volta di Milani, attendo il fiore che mi consoli senza se e senza ma. Attendo poesia.
Immagine: © locandina Medusa Film

Carissimo Paolo, ho letto con attenzione la tua opinione sul film. Al quale – ma questo interessa poco o nulla – ho partecipato da comparsa in alcune scene. La passione, l’amore, il rispetto, la quasi venerazione di Riccardo Milani per tutto cio’ che è Sardegna vera, interiore, pura e senza sovrastrutture è autentico. Viscerale. Ha casa qui, peraltro. E ti ringrazio per aver espresso un concetto che non arriva, che non è di pancia ma di testa: Virginia (Raffaele) è pop, quasi macchiettistica in certi frames, perché è una attrice che “fa” qualcosa di complesso, lo fa con la sua voce e il suo studio. Popular qb, appunto. Le critiche alla sua interpretazione grondano superficialità e poco interesse ad approfondire, ad ascoltarsi.
E.
Storia universale che dà respiro all’anima.
In bonora.
Marras non ha bloccato nulla ha difeso la sua proprietà chi ha fatto emergere l’abusivismo sono stati gli ambientalisti infatti è tutto costruito meno la proprietà del Marras, la SITAS comprò quei terreni negli anni 68-70 hanno fatto un l’errore di spostare le volumetrie dal Villaggio Perda Longa a Tuerredda speriamo che il complesso lo prenda il Comune e lo dia a qualche cooperativa Teuladina