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Sbloccacantieri o sbloccapoteri?

Posted on 15 Marzo 201915 Marzo 2019 By Paolo Maninchedda

L’ennesimo annuncio del Governo italiano riguarda lo sblocco dei cantieri.
Come accade sempre più spesso nella Repubblica, si parla di tutto fuorché dell’essenziale, cioè di chi esercita il potere e delle leggi che lo regolano.
I cantieri sono bloccati da una legislazione non orientata sull’opera ma sul rapporto tra la stazione appaltante e l’appaltatore. Per fugare ogni dubbio di collusione interessata è stato generato un mostro che favorisce non chi sa fare l’opera ma chi sa gestire la complessità amministrativa dell’appalto e dei sospetti che lo accompagnano.
La strada più semplice, all’italiana, che il Governo italiano potrà trovare è quella della nomina di uno o più commissari dotati di poteri derogatori straordinari, sul tipo di quelli con i quali si gestì il G8 a La Maddalena, generando poi il sistema corrotto e inefficace che conosciamo. Gli stessi poteri poi negati alla Regione Sardegna quando si trattò di restituire ai sardi i beni per metterli a posto. Nel caso in cui si vada verso i poteri commissariali, suggerisco al Governo regionale di farsi dare nuovi poteri commissariali, non quelli ridicoli attribuiti fino ad oggi per mettere a posto il disastro maddalenino.
Ma chi nominerebbe il commissario eventuale dei lavori in capo all’Anas? Ovviamente il governo. E siamo punto e a capo.
Chi indagherebbe su presunte violazioni? Ovviamente la magistratura e la polizia giudiziaria, che ritiene di avere competenze adeguate su tutto e su molto prende cantonate bestiali, ma nel frattempo blocca.
Ma se invece si volesse produrre un cambiamento più profondo, legislativo, che cosa si dovrebbe fare?
Si dovrebbe, nell’ordine: 1) cambiare il processo amministrativo italiano; 2) cambiare il processo civile; 3) cambiare il processo penale; 4) cambiare le regole sulla sostenibilità ambientale delle opere; 5) cambiare il sistema dei poteri di controllo e di sanzione.
Insomma, da qualunque parte si prenda il bandolo della matassa, che è l’organizzazione centralista e dogmatica dello Stato italiano, si viene indotti a concludere che non servono piccole riforme, serve smontare questo stato. Per cambiare qualcosa, bisogna cambiare tutto, perché la visione dello stato degli italiani è dogmatica e rigida, anelante all’eternità, non laica e flessibile; e dunque è monolitica, formale e astratta nei testi e marcia nei fatti.
E per cambiare tutto questo non riesco a vedere altra strada oltre quella che sta seguendo Greta Thunberg per salvare il pianeta: una rivoluzione pacifica che cambi le strutture del potere piuttosto che concorrervi nelle forme attuali con la vana speranza di modificarle in profondità acquisendone la gestione ma non contestandone la natura e la struttura.

Infrastrutture, Politica

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