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Possiamo dirlo perché l’abbiamo detto

Posted on 28 Febbraio 202027 Febbraio 2020 By Nicolao de Lacon-Gunale

Possiamo dirlo perché l’abbiamo detto.

Lo possiamo dire oggi, perché lo abbiamo detto sempre. Potremo continuare a dirlo domani, perché lo diciamo anche oggi. In ogni “crisi” c’è chi ne approfitta. Terremoti o alluvioni, epidemie o guerre.

Ci sono gli sciacalli che speculano sul mercato dei prodotti, sui bisogni e sulle paure delle persone, per fare soldi. Poi ci sono i “nostalgici autoritari e centralisti” che subito lanciano l’allarme e poi sibilano la soluzione dello “Stato dispotico”, che sarebbe più veloce ed efficiente. Esattamente quello che ci vuole. C’è chi invoca leggi speciali e specialissime procedure decisioniste. Chi – esperto di questo e di quello – si complimenta con quei regimi illiberali capaci, nelle epidemie, di isolare il virus e milioni di potenziali contagiati, “manu militari”.

Noi non la pensiamo così. Pensiamo proprio il contrario. Più libertà, democrazia e consapevolezza, più cultura e capacità critica fanno popoli forti, comunità attive e coraggiose nelle difficoltà. Pensiamo che il pluralismo istituzionale sia una condizione che ostacola i rigurgiti fascisti, per questo difendiamo i principi di autonomia contenuti nella parte prima e immodificabile della carta fondamentale. Anzi, vorremmo proprio di più. Vorremmo sviluppare l’autodeterminazione responsabile, quella che fa crescere il senso del dovere e la vera libertà. 

L’unica cosa di cui rimaniamo nostalgici è la televisione del maestro Manzi, quello di “non è mai troppo tardi”, quello che lottava contro l’analfabetismo. Contro l’ignoranza.

Nella invasiva telecrazia indiscussa degli odierni conduttori televisivi, quelli che possono giudicare ma che non possono essere mai censurati, “l’epidemia” nuova o vecchia che sia è una “manna” di ascolti, indici che si sollevano verso vertici assoluti. L’esagerazione è il mio mestiere, verrebbe da dire parafrasando l’antica trasmissione “il pericolo è il mio mestiere”, che valorizzava, invece, il lavoro comune, quello quotidiano di tanti che prestano se stessi agli altri, senza badare ai rischi personali.

Quelli che veramente stanno sul fronte in ogni momento critico. Non ultimi gli amministratori locali, frutto della politica, quella buona, così populisticamente e sistematicamente violentata.

È scoppiata l’epidemia. In questi giorni e in queste ore. Come tante ci sono state, ci sono e ci saranno. Il mondo è in apprensione. Non è fatto nuovo. Certamente la preoccupazione si è diffusa, molto di più di quanto abbia fatto lo stesso virus.

In Europa, la civilissima ed occidentale, razionale, colta e scientifica Europa, si chiudono le frontiere. Nonostante i virus viaggino senza passaporto in tutto il pianeta. In Italia, isolata nel mondo dalla nuova fobia, nella civilissima ed occidentale, colta e poetica Italia, si chiudono scuole, stadi, spazi sociali, si aggrediscono gli scaffali dei disinfettanti. Tutti si preoccupano del focolaio della “nuova peste”, quasi fossimo nella Milano di manzoniana memoria.

Qualcuno avrebbe detto: – Calma e gesso.

Facciamo quello che sappiamo fare. Perché esistono anche quelli che lavorano e sono bravi.  E se ricorre il bisogno, semplicemente rafforziamo l’esistente. E basta con i profittatori, perché i comuni mortali non ne possono proprio più degli Dei dell’affarismo. A qualunque categoria siano iscritti.

Autodeterminazione, Politica

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