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L’illegalità diffusa e l’ipocrisia corrente

Posted on 9 Giugno 20189 Giugno 2018 By Redazione

di Tore Terzitta

Il mio insegnante di latino insegnava a dedurre con questo epigramma di Marziale:
Mentula cum doleat puero, tibi, Naevole culus, Non sum divinus sed scio quid facias. (Giacché al servo duole la minchia e a te, Nevolo, il culo, non sono un indovino ma so che cosa fai).
Lo stesso insegnante sosteneva che non era dunque necessario rifarsi ad Aristotele per saper dedurre, ma che bastava Marziale.
Questa fulgida pedagogia razionale mi è tornata in mente ieri sera quando, durante lo zapping pre-abbiocco, ho visto l’intervista di Formigli all’ex ministro dell’Interno della Repubblica italiana, Marco Minniti.
Il mio strampalato ragionamento deduttivo è partito quando si è parlato dell’episodio di Rosarno, delle fucilate in testa all’immigrato “sindacalista”. E, lo riconosco, lo stesso ragionamento deduttivo partito d’improvviso e con impertinenza non aveva la finalità di rimproverare qualcuno per silenzi ed omissioni, di proporre ricette sull’immigrazione – per questo bastano i numerosissimi farmacisti da tastiera – o di analizzarne cause ed effetti (in questo era impegnato l’ex ministro, con impeto retorico e contorsioni facciali degne della causa; peraltro, dalle tematiche sui migranti sto lontano come un gatto dall’acqua bollente, vista l’esperienza vissuta da sindaco). No, il ragionamento si svolgeva tutto in un ambito più terra-terra, quello più appropriato alla mia professione di agricoltore.
Mi chiedevo, infatti, se sia necessario un particolare acume per comprendere la geometria variabile dell’impegno dello stato italiano per contrastare il lavoro nero in agricoltura e le conseguenti storture.
Come dicevo, faccio il contadino (oggi dicono imprenditore agricolo!) e negli ultimi anni, a causa della crisi del settore edilizio, ho visto e vissuto un consistente incremento dei controlli sulle aziende agricole: non dovendo stare fermi, se chiude una palestra se ne trova un’altra.
Controlli sul personale, sul rispetto della sicurezza, sul pagamento dei contributi, sul rispetto dei disciplinari di produzione ed altro; tutto giusto, ci mancherebbe. Quasi sempre tutto in regola e, quando no, ci si mette a posto o, come è giusto che sia, si paga dazio. Mi chiedo, però, se le stesse regole valgano su tutto il territorio di questo strano paese! Nei giorni scorsi, come già avvenuto per la Puglia e per la Campania, le televisioni hanno mandato in onda le immagini della baraccopoli dove vivono i disgraziati che lavorano nelle campagne locali, quasi che sia normale che centinaia di persone vivano accampate e lavorino sottopagate.
E qui parte l’educazione deduttiva di Marziale.
Ora provo a dare alcuni elementi utili attivare per il “processo deduttivo” a partire dalle immagini delle campagne pugliesi, calabresi e campane:

  • zone dove, si narra, la disoccupazione tocca punte del 50%, dove lavorano i disgraziati delle baraccopoli di cui sopra;
  • grandi aziende agricole, prima latifondo di nobili decaduti, dove lavorano i disgraziati delle baraccopoli di cui sopra;
  • presenza di colture arboree ed orticole estensive, a bassa meccanizzazione, dove lavorano i disgraziati delle baraccopoli di cui sopra;
  • aree dove la malavita è “ben organizzata” e il pretesto dell’ordine pubblico prevale sulla legalità (citazione prefettizia!);
  • aree dove lo stato tiene la testa sotto la sabbia e non interviene sullo sfruttamento dei disgraziati delle baraccopoli di cui sopra;
  • aree dove, a giudicare da alcune interviste agli abitanti, la tanto criticata assenza dello stato è ben accetta.

Gli spagnoli dicono che se un liquido è bianco e sta dentro un tetrapack, molto probabilmente, è latte; io, con più elementi, ho fatto le mie deduzioni.
Continuo a sostenere, come agricoltore, spese di trasporto altissime, a pagare energia e carburanti più di altri, a pagare i dipendenti e i relativi contributi, a garantire la sicurezza, a rispettare il mio disciplinare di produzione. Poi, però, mi trovo a competere con quelli dell’elenco di sopra, vedo lo Stato italiano che si occupa dei tragici omicidi ma continua a ignorare l’illegalità diffusa dello sfruttamento umano che genera ricchezze inaudite e, secondo qualcuno, non avrei il diritto di incazzarmi: deduco di essere preso per il culo!
Secondo voi, il mio processo deduttivo è corretto o è una sorta di paralogismo agricolo?

Accoglienza, Diritto, Politica

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