È da diverse settimane che nelle campagne sarde serpeggia la voce secondo la quale gli industriali sarebbero intenzionati a pagare il latte della nuova campagna a 1,20-1,30 euro al litro (rispetto all’1,60 attuale) adducendo come motivazione i dazi di Trump.
A me ne hanno parlato alcuni pastori che a suo tempo non votarono Salvini ‘in cambio’ dell’immunità nell’assalto ai camion del latte del 2019. Insomma, ne sono stato informato da gente che non affida tutto alla rozzezza dei concetti e alla violenza delle parole e dei fatti.
La questione è molto seria, perché se davvero questa tentazione, che ho potuto verificare essere reale, si traducesse in una scelta, le campagne sarde sarebbero attraversate da un conflitto senza pari.
La domanda da farsi è: ma davvero un dazio del 15% è un buon motivo per presupporre una diminuzione della domanda tale da produrre una diminuzione del prezzo?
Ho chiesto aiuto a un economista milanese, universitario come me, che si occupa di queste questioni e mi ha commentato la tabella seguente: cerco di riassumere ciò che mi ha detto con parole mie ed ovviamente, ogni strafalcione è mio e non suo.
Come si può notare, il Parmigiano Reggiano, colpito da un dazio al 15%, nel 2020 ha avuto un momentaneo crollo del prezzo nello stesso anno, per poi risalire nel 2021 e spiccare il volo nel 2024. Le ragioni di prezzo non risultano dunque connesse al dazio, ma ad altri fattori, tra i quali anche la produzione di latte nei due principali Stati produttori, il Wisconsin e la California.
Il grafico non mostra un altro dato, noto da altre stime (si veda sotto): il Pecorino Romano nel biennio 2022-2023 ha venduto meno (-4,4%) ma ha aumentato il fatturato (+ 4,8) e il prezzo ha registrato un incremento del 9,6%. La teoria secondo la quale, se c’è un dazio, si vende meno e dunque si deve abbassare il prezzo è smentita dai fatti: si può vendere meno, a miglior prezzo e con più margine.
Infine c’è una questione da controllare, e lo faremo nei prossimi giorni: siamo certi che il Pecorino romano (quel Pecorino che i pastorelli leghisti non si sono accorti non sarà più la loro manna dal cielo se dovesse passare il disciplinare che autorizza il latte non prodotto dalle razze autoctone, in particolare quella sarda, che copre tutta l’area di produzione, comprese Lazio e Toscana; infatti le pecore-fabbriche-di-latte che gli industriali vorrebbero mettere in produzione, ruberanno qualsiasi valore al latte prodotto dai piccoli o medi allevamenti dei leghisti immemori violenti praticanti) sia sottoposto a dazio? Io ho i miei fondatissimi dubbi.
Insomma, il latte a 1,30 sarebbe solo il segno di un’avidità cinica, spinta alle estreme conseguenze, che preannuncia l’indisponibilità, in caso di crisi, a spalmare eventuali costi aggiuntivi tra i venditori sardi e gli acquirenti americani anziché scaricarli sui produttori per mantenere invariati i loro amplissimi utili. A casa mia si diceva che chi si mangia anche le briciole della tavola porta e annuncia sventura.


Non per stare dalla parte degli industriali (me ne guarderei bene), ma il Core-Business degli allevatori sta nel benessere animale………che se volessimo parlare di benessere ci sarebbe da discuterne!!!!!!quello è il vero introito per chi alleva “BESTIE” come si dice in gergo.
Quando l’UE metterà mano a quella fetta di soldoni (miliardi di euro a pioggia) allora ne vedremo delle belle!!!!!!!allora si che si scatenerà la guerra!!!!!
Sa pregonta de fàere a is Sardos, e no a is pastores, no!, ma a is prus “qualificati” de is intellettuali (???) e politici (???) est:
Ma aus mai ischìpiu chi is Sardos seus unu pópulu séculos chentza guvernu?
Mi apo a èssere ibbagliau candho apo pentzau e pentzo chi is intelletuales e istudiaos (custu segundhu su significau in sardu, gli studiati, e salvu deabberu calecunu) funt is manorbas/maniales de un’istadu colonizadore?
E is politici una chedha o de àinos domaos o de carrammerdas/carrabbusos?
Ma… a donniunu sa ‘virtude’ sua! (assinuncas est meda prus fàcile a si ofèndhere chi no a si pònnere a pentzare).
E a quei pastorelli leghisti che nel 2019, convinti di essere bis_unti dal loro signore (salvini da pontida), entravano pure nelle scuole a fare gratuito proselitismo e a chiedere solidarietà para sindacale mordi e fuggi (anzi fuggi e basta) a studentelli ignari, chiederei, sempre cortesemente, di non far finta di ignorare la legge del mercato che, in questa faccenda del prezzo del latte di pecora in Sardegna, ha sempre contato “abbastanza” (cioè PARECCHIO), considerata la struttura del comparto agro-industriale caseario e la sua filiera produttiva.
Tempo fa vidi un film che parlava di un dipendente pubblico che, pur di non farsi licenziare, fu disposto a trasferirsi nei posti più remoti del globo terracqueo (spero di non dover pagare diritti per questo aggettivo orribile). Il dipendente in questione esaltava la fissità del posto di lavoro. Impossibile, per lui, pensare che qualcosa potesse cambiare mentre tutto attorno a lui cambiava. Ebbene, mi concentro sulla fissità delle cose in Sardegna che sembra riguardare tutto quello che ci circonda. L’impressione è che non cambi nulla, che sia tutto maledettamente sempre uguale. Ma in un mondo dove il modo di produrre, di vendere, di tracciare, di impacchettare, di spedire, di connettersi è cambiato, è mai possibile che chi produce il latte non abbia trovato una soluzione diversa da quella che sembra essere l’unica cristallizzata intangibile inemendabile dannazione della regola degli industriali?
fare cooperative che funzionino veramente e lasciare perdere gli industriali , i pastori devono rifiutare le famose ” caparre” è un cappio al collo , sicuramente chiederanno i famosi ristori
Non preoccupatevi: a pagare saranno i dipendenti dello Stato, i consumatori. Ci sono ristori per i pastori
Emmo
Morale della “favola”, si apo cumpresu bene:
si cun s’iscusa de sos dàtzios trumpianos sos industriales pagant prus pagu su late a sos pastores EST UNU DANNU TOTU A SOS PASTORES. Sinono, sighìndhelu a pagare a 1,60, PAGU SI NO NUDHA tiant pèrdere sos industriales.
Goi est?
Ottima analisi. Bravissimo