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Agricoltura: il ritorno del popolo. Serve uno shock istituzionale

Posted on 21 Febbraio 201821 Febbraio 2018 By Paolo Maninchedda

L’unico luogo nel quale questa campagna elettorale sta riguardando la Sardegna è l’agricoltura, ma lo sta facendo per certificazione dell’assenza. La questione agricola sarda è una questione nazionale sarda provocata da una negazione e da un’oppressione burocratica nazionale italiana.
Prima ossservazione: sembrerebbe che la Coldiretti abbia abbandonato o stia abbandonando il collateralismo che l’ha caratterizzata nel dicembre 2016, quando si schierò a favore del referendum costituzionale.
Sembrerebbe, anche, che cominci una certa regionalizzazione di Coldiretti che fino a ieri difendeva gli interessi dei produttori romani fino al punto dall’attaccare la dop del Pecorino romano, che invece ha testa e gestione in Sardegna. Insomma sembra che Coldiretti abbia scelto più la Sardegna che la fedeltà al suo centralismo romano. Se dovessimo chiederci il perché di questa inversione politica, la risposta potrebbe essere che Coldiretti si stava e si sta rendendo conto che o difende gli interessi reali degli imprenditori agricoli o li perde.
In questo senso Coldiretti dovrebbe fare anche un’altra cosa: costringere a profondi e intensi corsi di formazione i titolari e gli addetti dei CAA, gli uffici cui si rivolgono gli agricoltori per le loro pratiche di finanziamento e che fanno troppi errori o che non studiano tempestivamente le innovazioni normative che intervengono nel settore.
Ma il fatto che gli imprenditori agricoli comincino a stare attenti al loro portafoglio, non seguano più strumentalizzazioni politiche e facciano invece bene e meglio di conto, ora, in campagna elettorale, deve trovare uno sbocco. La Coldiretti protesta contro la Regione per tenersi il popolo, perché diversamente si scioglierebbe come neve al sole come è successo agli altri sindacati italiani, il cui peso è ormai sensibilmente inferiore a quello del passato.
Ma la protesta ha bisogno, per essere efficace, o di essere rinnovata ogni giorno (impossibile) o di avere un obiettivo finalmente stabile.
Personalemente penso che o il mondo delle campagne genera uno shock istituzionale non andando a votare o la questione agricola non si affermerà come questione di Stato. A confermarlo le cronache di questi giorni. La questione Alcoa, la questione Porto Torres, la questione Meridiana etc, dimostrano che la questione agricola, l’unica vera questione sociale diffusa su tutto il territorio sardo, non riesce ad affermarsi come questione di Stato. Ciò avviene proprio perché le campagne non hanno mai organizzato una grande riforma, ma sempre e solo parziali ribellioni finalizzate a vantaggi immediati erogati a pioggia. In questo modo si è affermata la storia delle cicliche ribellioni dei pastori, ma non si è affermata mai come questione strategica la questione agricola sarda.
Le ribellioni durano un giorno, le riforme durano molto di più.
La Coldiretti che farà? Chiamerà per l’ennesima volta alla ribellione per poi invitare tutti a votare? Se farà così, perderà definitivamente il popolo e il ruolo.

Agricoltura, Politica

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