Faccio una piccola premessa. A me non importa denunciare i comportamenti e gli ordinamenti ingiusti dello Stato italiano (cioè denunciare la decadenza dello Stato italiano che si riverbera sulla vita di ciascuno di noi). Non mi interessa in sé il concetto di denuncia e l’estetica dell’indignazione che ne consegue. Paradossalmente penso che l’indignazione quotidiana stia rovinando economicamente i giornali e moralmente la società sarda e italiana. È dall’indignazione e dalla rabbia, dal rancore alimentato quotidianamente e dal costante additare negli altri i colpevoli di ogni cosa, che trae linfa la violenza, il fascismo e soprattutto la dilagante ignoranza.
Detto questo, a me importa dimostrare a chi mi legge quanto sia ingiusto e gravemente lesivo degli interessi nazionali dei sardi l’attuale struttura dei rapporti tra lo Stato italiano e la Sardegna.
Avete letto del giudizio di parificazione della Corte dei Conti per il Bilancio regionale 2016, con il suo corredo ingiusto, immotivato, irrituale e ovviamente impunito di giudizi politici sull’ammontare delle cifre, sulle scelte del Consiglio regionale, col corredo di comparazioni tra grandezze non omogenee che neanche uno studente di primo anno di Economia o di Scienze politiche avrebbe mai fatto. Questa ennesima occasione di esperienza dell’impunità di cui gode il potere invisibile che governa l’Italia, quello che Angelo Panebianco ha scritto essere incardinato sulle burocrazie e sulla magistratura (di cui la Corte dei Conti è un’infausta e plastica sommatoria vivente) è per me stata un’occasione per riprendere le letture faticose cui mi dedicavo da consigliere regionale e da assessore.
In particolare, era e resta utile leggere il report sul Controllo di Gestione che capaci e sconosciuti dirigenti e funzionari regionali fanno ogni anno producendo tante di quelle utili carte che, proprio per la loro mole, nessuno legge.
Cosa risulta sulla mitica Corte dei Conti dalla lettura di questa analisi severa e utile che nessuno legge e usa?
Prima di tutto risulta che esiste una legge ignobile, il DPR 240 del 1982 che all’art. 10 prevede, sentite un po’, che lo Stato provveda a pagare i costi delle Sezioni giurisdizionali al netto dei costi dei locali che vengono scaricati sulle regioni. Quindi, in una parola sola, lo Stato, che ha locali da buttare, prevede che la magistratura che controlla la regolarità delle spese delle altre istituzioni, non si preoccupi dei costi dei locali in cui opera.
Adesso seguiamo questa storia italiana, ma non dell’Italia di Dante, di Galileo, di Vico, di Cesare Beccaria, no, di quell’altra Italietta feroce e piagnona, dell’Italia indignata e retorica, sporca e cialtrona, pronta a piangere e condannare, a lamentarsi e a erigere forche, che tutti sperimentiamo.
Il DPR 240/1982 venne dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale, ma poi confermato nel testo dalla L. 658/1984.
La Regione Sarda, zelantissima perché priva di uno straccio di coscienza nazionale sarda, compra nel 1988 lo stabile di via Angius per ospitare la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti. Il valore dello stabile nel bilancio 2016 è di 15 milioni 400mila euro. Ma accade che invece la Sezione di Controllo della Corte rimanga negli stabili di via Lo Frasso di proprietà del Fondo Immobili pubblici.
Adesso seguiamo separatamente la vicenda dei costi dei due immobili, quello di via Angius, di proprietà della Regione, e quello di via Lo Frasso, di prporietà del FIP. Iniziamo da quest’ultimo.
Che cosa è il FIP? È un fondo di investimento della Repubblica Italiana. Quindi, un pezzo della Corte dei Conti è rimasto in locali di proprietà della Repubblica, ma la Repubblica ha voluto mettere a reddito questi locali e ha chiesto l’affitto alla Corte, la quale in questi anni a sua volta ha chiesto alla Regione che se ne facesse carico per un valore complessivo, per gli anni trascorsi, pari a 2,5 milioni di euro.
Spero che la natura moralmente censurabile di questo procedimento sia chiaro a tutti e non necessiti di commento, ma se qualcuno non avesse capito è bene chiarire che si tratta di questo: un ramo dello Stato, la Corte dei Conti, esercita le sue funzioni in locali dello Stato, il quale Stato prima obbliga le Regioni a pagare i costi dei locali che ospitano la Corte, poi mette a reddito i suoi locali e pretende dalle Regioni il pagamenti dei canoni che vanno a costituire i rendimenti di un Fondo di investimento pubblico costituito ad hoc. Fa impressione a sufficienza? Spero di sì.
Adesso andiamo in via Angius.
Quanto si spende per l’attività della Corte dei Conti nei locali della Regione?
Intanto si consideri un minimo di logica. La Regione è proprietaria dell’immobile; la Corte che lo utilizza non paga l’affitto, ma ciò non basta, la Regione deve pagare tutti i costi dell’immobile.
Quali sono le voci di costo, anno 2016?
Eccole qui:
PULIZIE: via Angius, EURO 364.260; via Lo Frasso, EURO 114.033;
VIGILANZA: via Angius, EURO 279.50; via Lo Frasso, EURO 64.380;
tabellaANTINCENDIO: totale, EURO 15.587
MINUTO MANTENIMENTO: EURO 8.524
IMPIANTI ELETTRICI: EURO 36.600
IMPIANTI TERMICI: EURO 19.520
IMPIANTI ELEVATORI: EURO 7.320
Quindi, la Regione spende per la Corte dei Conti, per i costi della Corte dei Conti, euro 711.311.
Oltre l’estrema ingiustizia e indecenza di un meccanismo per cui la Regione paga costi dello Stato (ma non è l’unico caso. Si pensi alle circa 20 guardie forestali che svolgono funzioni di Polizia Giudiziaria nelle Procure; attribuento un reddito medio intorno ai 40000, abbiamo un costo sostenuto dalla Regione per funzioni dello Stato pari a 800.000 euro l’anno, 4 milioni di euro a legislatura), qui si è di fronte al paradosso di una istituzione, la Corte dei Conti, iscritta d’ufficio al sistema dei privilegiati italiani, che generano costi ma non li pagano, divenire giudice occhiuto delle scelte politiche della Regione Sarda, facendo errori di analisi evidenti, ma comunque in cattedra a discettare delle scelte del Consiglio regionale della Sardegna, che intanto per sempre, per legge e privilegio inossidabile, deve pagare.