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89 giorni di silenzio. Pastori, attenti! Come baciare il rosario e fischiare il Papa

Posted on 19 Maggio 201922 Maggio 2019 By Paolo Maninchedda

Oggi è il giorno degli equivoci.
Salvini bacia il rosario e la piazza fischia il Papa. In questo contesto che contrappone non Carlo VIII di Inghilterra (Salvini) e Clemente VII de’ Medici, ma Salvini a un Papa molto sacerdotale e molto evangelico come Papa Francesco, il primo problema è capire che cosa ci stesse a fare il Presidente della Regione Solinas ad applaudire il religiosamente confuso Salvini (sappiamo, sappiamo che noi siamo dei volgari borghesi che pensano e scrivono e non capiscono i gesti popolari, e dunque non colgono l’impatto buonista che ha baciare il rosario, ma siccome siamo cristiani, radicalmente e mitemente cristiani, i feticismi politico-religiosi ci fanno un po’ irritare).
Per prima cosa chiediamoci chi è Papa Francesco: è il Papa che sta combattendo il più grande equivoco storico del cattolicesimo: il Vaticano. Sta pulendo la prassi, non la teoria, la prassi vaticana da cattive abitudini finanziarie, da cattive abitudini di potere estranee alla natura e alla sostanza del cristianesimo, da cattive e sadiche abitudini sessuali (Gesù era circondato da donne e bambini; molti preti invece hanno paura delle une e perseguitano gli altri. Quanto farebbe bene alla Chiesa essere meno formalmente virginea e più sostanzialmente casta! Per quei pochi che ci leggono: essere casti non vuol dire non fare l’amore, vuol dire farlo esenti da colpa, cioè farlo con l’innocenza naturale e spirituale della migliore umanità. “Casto” non vuol dire “vergine”, vuol dire “privo di colpa, innocente”), dalla malattia del clericalismo.
È il Papa del martirio dei cristiani in Africa, in America Latina, in Oriente e in Medioriente (i cristiani del Medioriente non stanno con l’Occidente, questo ancora in Italia non lo si è capito e l’Italia fa affaroni con i Sunniti radicali che perseguitano e ammazzano i cristiani ovunque li trovino). È il Papa che proclama santi i santi veri non quelli che comprano la dichiarazione di santità.
Poi mi son detto: è per l’appunto tutto un equivoco. Tuttavia penso che il Presidente della Sardegna abbia un debole per papa Clemente VII dei Medici, il quale venne prima fatto cardinale (settembre 1513), poi diacono (dicembre 1513), che è come dire che uno studente universitario prima presenta la domanda di laurea e poi dà gli esami; poi, in soli cinque giorni, il cugino Papa (Leone X) lo ordina sacerdote e poi Arcivescovo, che è come dire per uno studente universitario vedersi riconosciuti gli esami di Procedura penale e di Dirito penale dopo la nomina a magistrato. Sono convinto che l’Italia del Rinascimento evoca pulsioni incontenibili nel nuovo corso sardo.
Ma un italiano potrebbe comunque dire: c’è sempre il Pd. Qui entriamo in un altro drammatico equivoco. Chi oggi ha la pazienza di leggere la centesima lettera apostolica di Eugenio Scalfari (la cui più profonda natura narcisistica fu ben colta da Italo Calvino) sulla Repubblica di oggi, è costretto a deglutire la riproposizione di un errore storico di proporzioni drammatiche: la santificazione di Enrico Berlinguer. Ora, va detta una cosa di Berlinguer: fu un uomo in buonissima fede e coraggioso. Ma non capì l’Italia, come oggi non la capiscono né Scalfari né Repubblica. Se si guarda l’immagine della contromanifestazione antislaviniana di ieri della Sinistra milanese, essa è il contrario della sinistra di potere, istituzionale, autoritaria, dogmatica e paludata che venne fuori dal percorso berlingueriano e il cui campione è Napolitano Air Force. Oggi la sinistra di massa dell’Italia è più vicina alla frangia creativa, pacifista e avanguardista che venne fuori dal mondo dell’Autonomia che si separò dalla lotta armata. È la sinistra del giornale satirico Il Male, di Frigidaire, del mondo che scelse di fare militanza con la satira, i disegni, i testi teatrali ecc. Che poi fu l’area dell’Autonomia che incontrò molte anime del cristianesimo di base delle periferie italiane. Un’area mite, sconfitta più volte, ma che riesce sempre a reagire e a dialogare. È un tripudio di colori, pulsioni, danze e frizzi tenuto insieme dall’antiautoritarismo piuttosto che da un progetto politico di conquista del potere. Invece la dirigenza Pd è fatta dagli impiegati politici, da Zingaretti in giù, da coloro che vivono la politica come impiego non come lotta, fatica, dedizione, sacrificio. Infatti il problema, oggi che Di Maio sta “girando a democristiano di Base”, è chi interpreterà la rabbia del Paese che i Cinquestelle hanno sprecato per ignoranza. Ci aspettano tempi bui. Ascoltate con attenzione l’intervista rilasciata ieri a La 7 dal sostituto procuratore antimafia Di Matteo. Quella è l’Italia marcia in cui viviamo.
Per i pastori: un consiglio da amico: non autodenunciatevi. State attenti. Le chiacchiere vanno e vengono, gli atti giudiziari vengono solo e tutti sulla schiena.
Oggi è l’88esimo giorno di silenzio della Nuova Sardegna sulle legittime domande sulle procedure di laurea del Presidente della Sardegna.

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