Continuo nel lavoro di questi giorni, finalizzato a trasmettere razionalità e a sottrarre i sardi alla paura.
La paura è infatti la madre della subordinazione.
Per capire ciò che è accaduto in questi giorni bisogna partire da una premessa e da un fatto e arrivare a una conseguenza non propriamente conosciuta ai più.
La premessa è la seguente: l’Italia è uno Stato con 2300 miliardi di debito pubblico, pari al 131% del suo Pil.
L’Italia ha un avanzo primario, cioè la differenza tra le Entrate (807 miliardi/ 2017) e le Uscite (777 miliardi / 2017) dello Stato di 29,4 miliardi l’anno (pari al 3,6% delle sue entrate).
È come se un cittadino con 13.000 euro di reddito all’anno abbia costi fissi, al netto dei debiti, per 12.532 euro e che con i restanti 468 euro all’anno debba campare (cioè sviluppare politiche) e pagare i debiti.
Il fatto è questo.
Avantieri l’Italia ha venduto Bot semestrali. Ieri ha collocato sul mercato 1,82 miliardi di euro di Buoni Poliennali del Tesoro, i celebri Btp. Essi possono avere una scadenza a 3, 5, 7, 10, 15 o 30 anni.
Il risparmiatore che li acquista riceve ogni sei mesi, in genere, e per la durata del periodo da lui prescelto, un importo pari all’interesse fissato al momento dell’acquisto.
Anche questi titoli hanno un valore e un presso determinato dal mercato, il quale considera tanti fattori tra cui la credibilità e la consistenza finanziaria del Paese che emette questi titoli.
Se la credibilità del Paese diminuisce, diminuisce anche il valore dei suoi titoli e il risparmiatore può trovarsi a realizzare, vendendo i suoi titoli, meno del valore nominale a cui ha acquistato. Se il risparmiatore rischia di più, vuole essere pagato di più. Il Btp a 5 anni venduto nell’asta precedente a quella di ieri era stato remunerato con un tasso dello 0,56%; quello di ieri è stato venduto con un tasso d’interesse del 2,32%. Un altro punto di riferimento può essere l’interesse pagato sui Btp decennali: quelli venduti a aprile erano stati pagati con un interesse dell’1,7%; quelli di ieri anno sfiorato il 3%.
Quanto valgono in costi aggiuntivi per lo Stato italiani queste oscillazioni? Solo l’incremento dell’interesse sui Bot semestrali venduti il 29 maggio, l’altro ieri, ammonta a circa 40 milioni di euro.
Per proteggere l’Italia dagli speculatori, uno dei più grandi acquirenti dei suoi titoli di Stato è la Bce di Draghi (quando andrà via Draghi le cose cambieranno).
Prima notizia: la Bce ha avvertito l’Italia che sui mercati c’era diffidenza verso i suoi titoli e che essa stessa non poteva acquistare tutto il lotto messo a disposizione del mercato. Insomma’ c’era seriamente il rischio che l’Italia riuscisse a vendere troppo poco rispetto a ciò che si aspettava. con un’ufficializzazione della sua acclarata inaffidabilità.
La conseguenza La conseguenza maggiore è che quando ‘ballano’ i titoli di Stato, ballano tutti i titoli delle aziende più legate al sistema Stato, prima di tutti quelle delle banche. La naturale tendenza degli italiani ad essere superficiali e a disprezzare il sacrificio e l’impegno ha portato l’opinione pubblica a sottovalutare che le crisi della Banca Etruria, delle banche venete e del Monte di Paschi di Siena non erano poi così circoscritte, ma erano il sintomo di un malessere molto più diffuso, ossia della grave crisi finanziaria di molte banche italiane dopo la crisi dei sub primae americani.
La verità è che il nostro sistema bancario, in testa Unicredit, è molto fragile e che se crolla una grande banca italiana l’effetto è a trascinamento per tutto il sistema.
Chi prende e chi paga Chi è entrato in allarme quando la diffidenza dei mercati ha cominciato a mostrarsi? In primo luogo il floridissimo Nord, cioè quella parte della repubblica italiana (lo dico ai sardi che si prostrano senza adeguati ragionamenti a logiche lombardo-venete) che si lamentano del fisco ma hanno una disoccupazione al 6%, riescono ancora a risparmiare e a investire. I fatti dicono che la pressione fiscale sta uccidendo il Sud e le Isole, non il Nord. Il Nord è vivo e vegeto, grazie a una politica secolare che lo privilegia. Invece l’egemonia culturale del Nord ha fatto credere che il fatto che le regioni del Sud abbiano un residuo fiscale (mal calcolato) negativo, significhi che le regioni del Sud e delle isole siano assitite. No. Il dato negativo significa solo che il fisco ingiusto sta uccidendo metà della repubblica italiana a favore dell’altra metà. Le aziende quotate in borsa, le aziende con esposizioni bancarie consistenti e le banche stesse hanno cominciato a telefonare (c’è da credere ce Mediobanca abbia paralto con Casaleggio e Intesa e Unicredit con qualcuno vicino alla Lega). Ovviamente il Nord ha avuto paura ed è entrato in campo.
Il Nord comincia a telefonare C’è da credere che Draghi abbia fatto chiamare Mediobanca, Intesa e Unicredit e che dal board delle banche malate italiane siano partite adeguate sollecitazioni a Casaleggio e Salvini per far sapere loro che il gioco della propaganda (soldi per tutti, stipendi senza lavoro, impiccagioni pubbliche per chiunque abbia avuto una responsabilità pubblica, meno tasse ai ricchi e più tasse ai poveri e ai quasi poveri, accordi commerciali con Putin e buone relazioni con Trump, rottamazione di qualsiasi esperienza ecc. ecc.) stava producendo una crisi mortale prima del sistema bancario e poi dello Stato.
Marcia indietro E così la solita Italia fatta di verbosità, chiacchiere e insulti, minacce e lusinghe, apparenza e disinganno, ha dovuto fare marcia indietro. In meno di dieci ore è finita la guerra contro i crucchi, non ci sono più i soldi per tutti, non si parla più di flat tax, cioè non si parla più di incrementi di spesa per 100 miliardi di euro. I ricchi d’Italia, il Nord, che hanno egemonizzato il Sud promettendo stipendi per tutti, assunzioni in Polizia per tutti e lotta ai negri (come li chiamano loro), ha conosciuto il rischio finanziario della retorica, ha sperimentato che non si può più dire una cosa e farne un’altra come da sempre fanno le classi dirigenti italiane. La cosa che dà più soddisfazione è che lo ha fatto la parte ricca della Repubblica, quella che sta bene se non benissimo; la marcia indietro è stata ordinata dagli azzimati, ricchi e comodi del Nord Italia e eseguita dalle comparse.
I salottini finanziari del Nord che hanno giocato alla rivoluzione se la sono fatta sotto.
Il Nord Italia se fosse uno Stato a sé stante avrebbe performance economiche ottime, sta viaggiando benissimo, e lo fa per i privilegi che la politica italiana ha riservato a quelle aree non perché lì sono più capaci che altrove. Loro prima hanno innescato la rivoluzione retorica e poi hanno messo in campo la retromarcia pratica. La stupidità del Sud e delle Isole è non capire l’egemonia, non capire la follia ingiusta di un fisco che affama metà dello Stato per rendere sempre più ricca l’altra metà, è dividersi sulla lotta per il potere in corso al Nord come ci si divide tra tifosi della Juve o dell’Inter. La follia del Sud e delle Isole è farsi chiudere gli occhi con le elemosine e non vedere la frontiera dei propri interessi e dei propri diritti.
La resistenza La Sardegna deve diventare laboratorio di resistenza a questa tragica commedia di uomini buttati a combattere per interessi che non li riguardano, imbottiti di bugie dalla mattina alla sera, educati all’odio reciproco, fuorviati dall’ignoranza e dalla subordinazione. Bisognerebbe raccontare nelle scuole la verità dell’Italia, le sue maschere retoriche, i privilegi consolidati della aree forti, l’incompetenza colpevole dei suoi tribuni, la continua e drammatica persistenza della retorica di piazza che consolida i poteri esistenti facendo credere che li si sta cambiando. Noi siamo diversi. I sardi devono sentire la propria diversità e creare un’unità di impegno, di resistenza e di virtù politica che freni la strage degli innocenti creduloni che da troppo tempo l’Italia pratica nella nostra terra.