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Per vent’anni schedati anche se innocenti

Posted on 30 Agosto 201830 Agosto 2018 By Paolo Maninchedda

Mentre in Sardegna in molti guardano il dito e non la luna, lo Stato italiano, erede dello stato risorgimentale, poi fascista, poi repubblicano, ma sempre autoritario, dogmatico e conformista, conferma il suo strapotere sull’individuo, su ciascuno di noi.
Qualche giorno fa la Corte di Cassazione (sentenza 21362) ha sancito che il quadro normativo vigente consente legittimamente alle forze dell’ordine di conservare nei propri archivi i dati e le informazioni relativi a indagati la cui posizione è sfociata in un’archiviazione.
I tempi di conservazione erano stati contestati dal Garante della privacy, ma la Corte ha ritenuto che per vent’anni una persona innocente debba essere schedata dalla polizia, dai carabinieri e dalla Guardia di Finanza, sebbene – la Corte in questo è restrittiva – questo schedario sia accessibile solo a loro.
Vediamo di capire che cosa accade se un addetto della polizia giudiziaria dovesse consultare sul mio nome gli archivi delle forze dell’ordine. Immediatamente vedrebbe non ciò che io sono realmente, ma ciò di cui sono stato sospettato a mia insaputa (per un certo lasso temporale) oppure vedrebbe ciò di cui sono stato realmente accusato dopo l’iscrizione al registro degli indagati per poi, magari, essere prosciolto con un’archiviazione. Accadrebbe, insomma, un’immediata assimilazione della mia vita normale a quella di un pregiudicato.
La conseguenza è la profilazione, che di me, come di chiunque, andrà a farsi l’agente della polizia giudiziaria. Io verrei profilato attraverso i sospetti nutriti su di me. Pensate adesso con quali pregiudizi, generati da chi l’ha preceduto, l’agente di polizia giudiziaria andrà a valutare nuove ipotesi di reato che mi riguardino.
Da dove nasce questa violenza di Stato, questa legittimata prevalenza dell’apparato sull’individuo? Nasce dalla sacralizzazione dello Stato, dal modello dogmatico dello Stato considerato come il polo del bene contrapposto al polo del male, cioè il cittadino, che va educato a comportarsi bene. Ne è una dimostrazione la questione fiscale. Quando il cittadino deve soldi allo Stato, scattano mille misure coercitive, quando accade il contrario, cioè lo Stato deve soldi al cittadino, scatta il lassismo di Stato.
Ecco, quando parlo di questi grandi temi che riguardano la nostra libertà e la nostra dignità, e li lego alle prossime elezioni sarde invitando a pensare uno stato sardo diverso, più civile, più avanzato, più giusto di quello in cui viviamo, mi sento dire che tutto questo non è oggetto della campagna elettorale, perché si tratterebbe di temi nazionali italiani, con la conseguenza implicita dell’affidamento ad altri uomini ed ad altri poteri di temi rilevanti che riguardano la dignità umana, la libertà, la giustizia. È come se si dicesse che le regionali riguardano solo le questioni amministrative e di sviluppo, e non noi come uomini, non noi come società. Per noi le elezioni sarde sono invece una questione di Stato e di libertà.

Giustizia, Politica

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