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Ippocrate: procuratore, ma lei dov’era?

Posted on 28 Maggio 202528 Maggio 2025 By Paolo Maninchedda 5 commenti su Ippocrate: procuratore, ma lei dov’era?

Come è noto ai lettori di questo blog, mi è stato fatto capire che sarebbe gradito che non mi occupassi più del processo Ippocrate. Ho preso atto, con dolore, di dover tacere, ma è accaduto che il PM che sostiene l’accusa nel processo abbia tracciato, nella sua requisitoria, un profilo del Partito dei Sardi a dir poco deformato e disinformato e che io, che ho in larga misura fondato e diretto il Partito dei Sardi, sento il dovere di respingere a tutto tondo.
Quindi, scrivo per ragioni personali, cosa che credo nessuno possa contestarmi.

Il signor procuratore ha esordito tracciando questo profilo del Partito dei Sardi: «…un partito che all’epoca era in piena ascesa, un partito di rilevanza regionale facente parte della maggioranza di governo regionale, dapprima con la giunta di centrodestra guidata dal Presidente Cappellacci dal 2009-2014 e poi con la giunta di centrosinistra guidata dal Presidente Pigliaru dal 2014» (ecco, qui ci sarebbe da fare un po’ di storia, perché è vero che eravamo in ascesa e io so perfettamente a chi stavamo pestando i calli, ma non serve che lo racconti, perché è politica e storia, non giustizia. Tuttavia i Romani raccomandavano agli uomini di legge la virtù dell’aequitas, cioè la capacità di discernere il quadro e le circostanze nei quali i fatti sono avvenuti. Con assoluta onestà posso dire che l’Accusa non ha capito nulla del contesto, perché anziché indagarlo per capirlo, lo ha semplicisticamente dedotto dalla polemica politica del tempo).

Comincio con una domanda: il Procuratore ha partecipato al processo o no? Chiederlo è legittimo perché io, che non vi ho partecipato da spettatore perché non sarei stato capace di mordermi la lingua e perché ho temuto di danneggiare, con la mia sola presenza, gli imputati, ho letto tutti i verbali di udienza e so per certo che lo Statuto del Partito dei sardi è stato depositato e lì è evidente la data della sua costituzione: 20 luglio 2013.

Possibile che, giacché retrodatare la costituzione del Partito dei Sardi è funzionale al teorema accusatorio, dopo un processo durato anni, si possa continuare a dare per assodato ciò che è stato smentito per tabulas? Il Partito dei Sardi al tempo della Giunta Cappellacci non esisteva e quando si costituì, sette mesi prima delle elezioni 2014, si collocò all’opposizione. Dal 2009 al 2013 noi eravamo tutti sardisti, ma questo dato viene volutamente ignorato (benché emerso durante il processo) perché iscriverebbe il tutto in una logica politica regionale e non in uno schema strettamente personale e macomerese. Questi dati sono emersi nel processo, ma il Procuratore fa come se il processo non ci sia stato. Serviva dire che chi vinse i concorsi prima del 2013 lo ottenne per militanza e non merito e così si è fatto.
Chi lo ha provato?
Nessuno.
Chi lo ha affermato?
Alcuni altri concorrenti negli stessi concorsi.
Domanda: ma quando qualcuno afferma di non aver vinto un concorso pur avendo più titoli di chi lo ha vinto, prima di acquisire come vera la sua testimonianza, la si può verificare?
I titoli sono verificabili.
Perché nessuno li ha verificati e ha preso per buone affermazioni poi dimostratesi infondate?
È la forza del mantenimento del presupposto ad ogni costo.
Non è giustizia, è orgoglio cieco che ripete ossessivamente anche ciò che è stato smentito.

Ancora.
Il Procuratore afferma ripetutamente che Salvatore Manai sarebbe stato “segretario o coordinatore” del Partito dei Sardi di Oristano.
È stato dimostrato nel processo che questo è assolutamente infondato; non vi è una sola carta, un solo verbale, un solo comunicato stampa, niente che attesti lo svolgimento di questo ruolo da parte sua, ma tant’è, siccome asserirlo serve a dimostrare una presunta incompatibilità di Manai con il suo ruolo di commissario di una commissione di concorso, lo si ripete come se il processo non si sia svolto. Serve ripeterlo per affermare che il ruolo in commissione di Manai era politico e non personale.
Nessuna prova. È sempre e solo la forza del presupposto.
A cosa servono, dunque, i processi?
Ad ogni buon conto, e per quel che serve, cioè nulla, io sono stato segretario e presidente del Partito dei Sardi e senza timore di smentita posso serenamente affermare che Salvatore Manai non ha mai avuto alcun incarico, non aveva bisogno di dimettersi da nulla perché nulla aveva. Se dico il falso, mi si persegua.

Ancora.
Viene ribadita la storia del reclutamento di interinali, e in particolare di quelli residenti a Macomer, per ragioni di consenso elettorale.
Non vi è un solo residente a Macomer indagato per qualcosa o che abbia testimoniato di essere stato sottoposto al vile ricatto del posto di lavoro in cambio del voto o della militanza. Non vi sono intercettazioni che riguardino macomeresi interinali.
Ma Macomer va e viene come una perfetta risposta a qualsiasi domanda.
Macomer va e viene come luogo di un mercimonio, ma non c’è un solo indagato chiamato a risponderne per averne goduto o averlo subito.
Ciò che lascia interdetti è, a questo proposito, la prova assunta come indiscutibile: la percezione.
Il termine ricorre quattro volte. Riporto solo un’occorrenza significativa: «Tantissime le persone sentite a dibattimento davanti a questo Collegio che hanno dichiarato che il Succu appariva a tutti, era conosciuto da tutti come colui che aveva il potere in ASL, un potere che eccedeva i suoi incarichi formali pur importanti che prima ho citato. Era diffusa l’idea che per risolvere un problema occorreva rivolgersi a Succu, diciamolo, per trovare un lavoro in ASL occorreva rivolgersi a Succu, questo lo vedremo poi meglio dopo, e c’era la percezione che il legame con lui e più in generale il legame con il partito potesse agevolare la carriera e il lavoro in ASL, e mi limito a citare le testimonianze di ……………, su cui torneremo».

Siamo di fronte a questo: l’idea diffusa non il fatto; la percezione non la dimostrazione; il Procuratore afferma l’equivalenza, anzi si spinge oltre, afferma che si trattava di “una percezione non soggettiva, fumosa, [ma] una percezione reale“.
Mi sono chiesto se la legge annoveri la percezione come prova.
L’art. 187 del Codice di Procedura Penale dice che «Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. 2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. 3. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato».
C’è di più. L’art. 194, comma 3 del Codice di Procedura penale afferma che «Il testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti».
Si capisce bene perché le “voci correnti” non sono una prova.
Chi conosce la storia sa quante vittime hanno fatto le “voci correnti”, specie quelle alimentate da chi, poi, a processo, ha dimostrato di essere stato animato da rivalità professionale.
Mi colpisce che i testimoni citati dal Procuratore siano proprio quelli che in udienza sono stati più nettamente contraddetti o smentiti. Sono citazioni che sembrano attinte dai SIT piuttosto che dai verbali di udienza.

Adesso sarei tentato di entrare nel merito di tanti altri argomenti usati dal Procuratore e snocciolare documenti e numeri per dimostrare che, solo a consultare i verbali del processo, essi risultano, ad essere delicati, infondati, ma non spetta a me farlo. Spetterebbe alle difese.

Ciò che sento sulla mia responsabilità è che tutta la requisitoria trasuda di una convinzione, quella esplicitata in altri atti che poi non sono approdati a nulla: e cioè che io sarei stato il vertice di uno stabile e consolidato sistema di controllo degli appalti e dei concorsi banditi dalla Regione e dagli enti locali, strettamente connesso al potere politico detenuto, che consentiva la canalizzazione delle assunzioni a fini politici.
Questa ipotesi, perseguita per anni, non ha trovato alcun “fatto” che l’abbia confermata: né appalti né assunzioni. E non li ha trovati perché non ci sono.
E allora, anziché provare a pensare che ci si era sbagliati, che ci si era fatti coinvolgere eccessivamente dalle “voci correnti”, non innocenti, ma messe in circolazione dagli avversari politici (come è sempre accaduto), si è pensato di costruire un processo largamente fondato sulle “voci correnti”, al punto da ospitare le “voci correnti”, proprio quelle smentite dai fatti, anche nell’ordinanza di custodia cautelare (vorrei ricordare che nell’ordinanza si citano le testimonianze di chi ha detto che le mogli di Succu e di Meloni erano proprietarie di un’agenzia interinale. Falso e accertabile, ma chi ha testimoniato è rimasto impunito e la testimonianza è nell’ordinanza).

Il processo, per reggere, non poteva, dunque, solo contestare eventualmente fatti specifici, doveva invece confermare l’esistenza del “sistema”, cioè processare il sistema del Partito dei Sardi senza che una sola carta abbia dimostrato un solo voto di scambio e con il reato di corruzione ipotizzato, avendo come oggetto dello scambio corruttivo non il voto, cioè ciò che abilita all’esercizio del potere, ma l’iscrizione al Partito (!!!).
Ecco, nonostante in diverse sedute del processo l’attendibilità di questo quadro e la credibilità di testimoni, per lo più coinvolti in rivalità professionali, abbia a dir poco vacillato (grazie ai pochi imputati che si sono difesi), la conclusione è stata uguale al principio.
Non è giustizia, è orgoglio.

Giustizia, Politica, Vetrina

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Comments (5) on “Ippocrate: procuratore, ma lei dov’era?”

  1. Efisio ha detto:
    28 Maggio 2025 alle 11:08

    Un processo politico che stride con i valori di una democrazia cosidetta matura. Paolo afferma verità assolute. Chi ha militato nel partito dei sardi può confermare tutto. Tore Manai era in semplice militante come tanti altri, non c’eramo ruoli ne’ ad Oristano ne’ ad altrove perché il partito stava ancora eleborando le corrette strategie dei territori. Il fatto che questo processo a messo alla gogna persone nobilissime segnandone per sempre la vita. Forse la magistratura é essa stessa stata vittima di luoghi comuni chi magari ha mosso i fili resta ancora accucciato dietro un muretto a secco?

  2. Roberto G. ha detto:
    28 Maggio 2025 alle 11:06

    Buona lettura https://acrobat.adobe.com/id/urn:aaid:sc:EU:3a1a2b44-ef50-41ca-8be0-bc24fb4a1e21

  3. Roberto G. ha detto:
    28 Maggio 2025 alle 10:52

    Vabbè ma oggi, C.V.D., consoliamoci con la coraggiosa(?) pronuncia del Collegio che bastona chi doveva essere bastonato. Almeno per ora.

  4. A ha detto:
    28 Maggio 2025 alle 08:44

    Il problema è che questa OMISSIS togata non risponde né risponderà mai delle cazzate che afferma e questo gli permette di rovinare la vita di tanti innocenti, vedi Beniamino Zuncheddu: 33 anni di galera e neanche un euro di risarcimento mentre chi l’ha condannato se ne strafotte alla grande.

  5. Mario Pudhu ha detto:
    28 Maggio 2025 alle 08:15

    «appariva a tutti»… inderetura A TUTTI. «Era diffusa l’idea»… inderetura DIFFUSA! «c’era la percezione»… C’ERA, gai, comente dhu’est s’ària chi totus respiraus. «La percezione»… Chi apant istudiau in psicologia generale sa percetzione po ischire it’est sa percetzione candho su chi a unu paret unu vasu a un’àteru parent duas caras faciapare coment’e candho duos si foedhant a bàtoro ogos?
    O in magistradura calecunu at istudiau no chi «A PARRI e NO ÈSSI est che a filai e NO TESSI» ma chi est a tèssere chentza mancu filare e ne filu?
    Imparandho cust’arte s’iat a pòdere fàere is tessidores miraculosos e no is magistraos, e fàere tapetos miraculaos, si no tessent arretzas.

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