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Google ne sa più del professore. Con un post scriptum su università e politica

Posted on 14 Giugno 201714 Giugno 2017 By Paolo Maninchedda

di Paolo Maninchedda
Un libro sulla scuola  curato da studiosi sardi comincia a far discutere. Che cosa vi si dimostra? Tra le altre cose che ormai tra i ragazzi è diffusa la convinzione che Google ne sappia più del professore, cioè, alla fine, che il professore è colui cui il sistema delega la notevole funzione di accendere la Lim.
In poche parole viene dimostrato che l’ingresso in un’aula di una Lim, le nuove lavagne collegate alla rete e ricche di sistemi applicativi di ogni genere, non è un fatto che riguardi l’arredamento o l’aumento delle possibilità del docente di avere più ausili didattici.
L’innesto di nuova tecnologia produce la radicalizzazione delle differenze già esistenti tra gli alunni (nelle quali incide moltissimo l’ambiente familiare) e trasforma in conflitto la normale dialettica tra insegnanti e alunni. L’effetto diseducativo dell’atterraggio inconsapevole della tecnologia in classe è la crisi dello spirito critico: il tecno-entusiasmo con cui si affronta la fruizione delle diverse tecnologie digitali porta a abbassare l’educazione e la pratica dello spirito critico, a trasformare l’alunno in un consumatore di prodotti già pronti, e l’insegnante ad assimilarsi all’addetto agli scaffali dei supermercati.
Si fa dunque appello alla rinascita dello spirito critico che però ha un requisito morale: la disponibilità alla fatica. Imparare a ragionare, a  studiare, a risolvere problemi non è né facile né difficile: è faticoso, richiede esempi, tempo e disciplina, cioè un universo morale in via di estinzione nella scuola italiana.
È sintomatico che in questo contesto La Stampa recensisca anche un altro libro, questo per niente bello e ricco di luoghi comuni, che si lamenta della “mediocrazia”, cioè dell’arrivo al potere dei mediocri, e attribuisca questa presunta presa della Bastiglia anch’essa alla crisi dello spirito critico.  L’autore vorrebbe un mondo affidato ai migliori, alle eccellenze, e tira in ballo la democrazia, la quale è un sistema imperfetto che per definizione non sceglie i migliori ma solo i più popolari. Chi ha consenso non vuole dimostrare di essere il migliore, perché il meccanismo elettorale non glielo chiede. Ma, al di là di questo, il dato è che si addita lo spirito critico come antidoto alla mediocrità, come se l’essere normali e non eccellenti sia una colpa. Il mondo è sostenuto dai normali e questa estetica e etica eugenetica dell’eccellenza sta rovinando la testa di giovani e adulti. Al mondo c’è spazio per tutti non solo per i primi. Lo spirito critico, la cultura del ragionamento, è funzionale a qualsiasi ruolo si svolga, a qualsiasi capacità di abbia, non è per niente la porta dell’eccellenza, è semmai la porta dell’equilibrio. Guai a educare al mito dell’eccellenza. Si pensa di educare al meglio e invece si educa alla ferocia e poi alla frustrazione, al fallimento come colpa, e si finisce con i suicidi, con l’infelicità, con lo spreco di capacità, sentimenti e valori.

Leggo oggi dell’avvenuta nomina del Cda del Crs4, l’importante centro di calcolo e di ricerca della Regione.
A dirigerlo è stato chiamato il prorettore per la Ricerca dell’Ateneo cagliaritano, professoressa Annalisa Bonfiglio, che non conosco di persona ma che possiede un indiscutibile curriculum.
A far parte del Cda anche Mario Mariani, che invece conosco come uno dei più capaci imprenditori e manager della Sardegna, un rappresentante vero dell’innovazione non solo in terra sarda.
Faccio solo una riflessione che svilupperò nei mesi prossimi: sono certo che i miei colleghi docenti universitari e attualmente incaricati di funzioni di governo condividano che serve un approfondimento, a ormai quasi dieci anni dalla legge 7 del 2007, sulle fonti di finanziamento della ricerca universitaria, rispetto alle forme con cui si esercita l’egemonia culturale sui processi che decidono l’allocazione delle risorse. Parliamone.

Cultura, Educazione, Istruzione, Libri, Politica

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