Se c’è un fattore corrosivo del corretto funzionamento della democrazia rappresentativa, questo è l’ipocrisia dei ceti dirigenti.
Chi non ricorda l’impatto negativo che ebbe sull’opinione pubblica il celebre libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, La Casta?
Gli italiani conobbero, senza remissione, tutte le furbizie e le furbate di chi li governava, i privilegi immotivati, il familismo, l’avidità. Il risultato fu che insieme al privilegio usurpato venne cancellato anche quello giusto, quello che tutela e distingue le alte funzioni sociali e politiche.
Adesso ci risiamo: un ragionamento opportuno sulla durata dei mandati elettivi dei sindaci e, in questo caso, dei presidenti di Regione, è entrato nel tritacarne delle convenienze di partito, per cui ciò che viene negato a taluni, la cui carica è desiderata ma la cui forza è temuta, viene permesso ad altri.
È sicuramente giusto stabilire un limite temporale per ciascuno dei mandati politici.
L’art.122 della Costituzione affida alla legge statale la definizione dei principi cui le Regioni devono attenersi nell’eleaborare le loro leggi statutarie elettorali, tale legge è la 165/ 2004, la quale dice che i Presidenti di Regione eletti a suffragio universale, cioè non dal Consiglio (come invece io ho sempre pensato che sia meglio, con opportuni bilanciamenti a favore della stabilità) possano rimanere in carica solo per due mandati, cioè per dieci anni (che sono tantissimi). Quindi, i parlamentari hanno deciso sul rinnovo dei mandati dei Presidenti di Regione.
La Regione Sardegna, dal canto suo, intossicata dai sindaci dei piccoli comuni come il fegato steatosico dal grasso conviviale, ha modificato la propria legge sugli enti locali, stabilendo che i sindaci dei paesi fino a cinquemila abitanti possano svolgere ‘solo’ tre mandati consecutivi (quindici anni, una vita!). Resto dell’idea che certi piccolissimi comuni, dove si fa fatica a trovare chi si candidi, sarebbero meglio amministrati da un dirigente pubblico che da un padroncino a vita, tanto tronfio quanto parassitario, ma sono idee opinabilissime.
Fatto è che l’esempio sardo calza a pennello al caso nazionale.
Come in Sardegna i consiglieri regionali hanno legiferato sui sindaci, ma non su se stessi (e ne abbiamo ancora taluni – Comandini è alla terza legislatura, per esempio – che hanno passato e passano un ventennio sui banchi del consiglio, agli altri e a se stessi amici, indifferenti alla loro ombra che invece parla della loro naturale mortalità), così il Parlamento oggi addirittura impugna le leggi regionali sui mandati dei presidenti di Regione, solo perché Fratelli d’Italia e Pd vogliono togliersi dai piedi candidati locali forti e scomodi, ma si guarda bene dal fissare un limite di mandati per i parlamentari.
E dunque Zaia deve andare a casa dopo due mandati, ma Gasparri vive a Montecitorio o a Palazzo Madama da quando era alle elementari, Franceschini ci vive da più di un ventennio, Casini ormai ha una sua dependance dentro i palazzi, la Meloni si sente a casa sua, La Russa ha la sua caffettiera personale al Senato, Tajani si toglie di frequente le ragnatele dalla giacca, Fratoianni c’è ormai da 12 anni e con la moglie studia per il prossimo decennio.
Il tema è sempre lo stesso: quis custodiet custodes?
Non è credibile che chi decide il numero dei mandati politici per gli altri si guardi bene dal farlo per se stesso.
Se è possibile, e forse auspicabile, che si possa passare da un ruolo politico all’altro, in modo da costruire una sorta di dirigenza di Stato ampia e utilizzabile all’occorrenza per i diversi ruoli, ciò che è ridicolo e corrosivo di ogni fiducia è che chi interpreta e difende mandati politici eternamente replicabili per sé, decida sul limite della rinnovabilità degli altri. Non è più una questione istituzionale, ma una delle tante forme di guerriglia per far fuori concorrenti politici. Cioè, uno schifo partitocratico.
prof. non si possono candidare per fare i presidenti o sindaci ,si possono candidare per consiglieri regionali o comunali , purtroppo adesso avremo sindaci che faranno i consiglieri provinciali e regionali ma li votiamo noi , bisogna ricordarsi che il partito della Presidente Todde ha fatto la sua fortuna sui due mandati e poi a casa ma una volta al potere gli è piaciuta la nutella , sarebbe bello ripristinare la residenza anagrafica per essere eletto invece arrivano da tutte le parti
. ….ma perché la foto allegata allo splendido (ndR ) articolo che fa molto riflettere mi ricorda un certo Comandini alla fine del suo 4⁰ mandato da Presidente della RAS in quota ForzaLitaGlia tra 25 anni ? Ma è una minaccia o un avvertimento ?
“Su voe nanne currutu a s’aiunu “
Aggiungerei anche i sindaci che fanno i consiglieri regionali e non mollano la carica di sindaco per timore che passi ad altri, anche se alleati
Condivido le osservazioni contenute nell’articolo. Aggiungo che il limite deve essere posto per tutte le cariche pubbliche retribuite. Abbiamo soggetti che hanno collezionato di tutto (prima consiglieri regionali, poi deputati, poi senatori). Tanto per esemplificare Stefania Pezzopane. In alternativa, basterebbe fare una sola riforma: i contributi versati si sommano per ottenere una sola pensione, erogata dall’Inps, con i criteri comuni.
Egr. professore, condivido al pieno la sua analisi, si usano due pesi e due misure, e molto spesso anche partiti opposti, in questo caso il PD e FDI, si alleano e cercano di modificare le leggi a proprio piacimento. Abbiamo molteplici esempi di persone in Italia, sia nelle regioni che in parlamento, che hanno fatto della politica un lavoro, un opportunità per loro e familiari, che cambiano casacca come le mutande al fine di accaparrarsi una poltrona. Ma tutto questo è anche dovuto alle leggi poco chiare italiane, dove create ad hoc, si prestano ad essere interpretate in vari modi in base alle situazioni. Ne abbiamo un caso esemplare in Sardegna, la legge elettorale che vede la presidente della Regione interessata.