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Artizzu, si chiama Artizzu, non Sánchez Mejía

Posted on 20 Maggio 202015 Luglio 2020 By Paolo Maninchedda 4 commenti su Artizzu, si chiama Artizzu, non Sánchez Mejía

Un tempo lo si chiamava giornalismo, oggi si è incerti se designarlo con ‘albinismo’ (non per mancanza patologica di colore, ma per ricerca volontaria di esangue servaggio) o vandalismo (per l’incolpevole e incosciente devastazione che l’abolizione di ogni apprendistato e la rimozione di tutte le letture superiori alle due pagine sta determinando).

Mai avremmo potuto pensare che dopo lo sdilinguamento sassarese a ottomani del presidente Solinas corpore presenti, avremmo dovuto assistere a un ulteriore episodio del grottesco giornalistico che, in fin dei conti, ci fa piangere più che ridere.

L’antica professione della libertà, rifugio di tanti letterati diversamente destinati alla più atra povertà, è divenuta un’attività incerta, a tutti accessibile e da tutti praticabile, del tipo «Sai scrivere? Sei giornalista. Sai capire? Sei dannoso. Vuoi lavorare e guadagnarti lo stipendio? Troppo esigente».

La Regione Sardegna è andata oltre, ha varato il giornalista monouso: sa scrivere, ma non sa leggere; è in grado di fare comunicati stampa, di disciplinare il traffico delle domande evitando le inopportune, ma non è in grado di capire i comunicati e gli articoli degli altri, i post, i tweet e gli sms, no. Un istituzionale uso esclusivo per una sola funzione. I vecchi comunisti erano trinaricciuti (con tre narici e una ‘c’ di guareschiana memoria, ma anche con i ricci cerebrali, per cui oggi ne mettiamo due) per far sfiatare il cervello; i giornalisti dell’Ufficio Stampa della Regione sono stati razionalizzati a una sola funzione: esistere.

Questa è la delibera con la quale la Giunta affida alla Direzione della comunicazione l’incarico di una ricognizione di mercato per affidare all’esterno la rassegna stampa per la Giunta. Faccio due conti a memoria.

Posso sbagliarmi, ma la Giunta Solinas ha reclutato cinque addetti stampa all’esterno (costo: più o meno 250.000 euro l’anno); la Regione ha tre giornalisti assunti (costo: 180.000 euro circa l’anno). Esiste un capo Ufficio Stampa che costa da solo intorno ai 110.000 euro l’anno.

Il capo Ufficio stampa è Ignazio Artizzu, un giornalista pedigretato, redattore Rai, ex consigliere regionale ed ex presidente di quasi tutto riguardi la caccia in Sardegna.
E soprattutto non è tonto.
Ma è Artizzu, non Sánchez Mejía, el toro ya non mugía por su frente, el viento no se lleva los algodones; no, al massimo lo scirocco ha sgombrato le insidie de los tampones.
Il suo torto è non esser torero.
Perché Ignazio, per noi Ignacio, non può fare la rassegna stampa?
Perché la squadra che lui governa non può seguire agenzie, quotidiani, siti, comunicati?
Perché mezzo milione di euro e 9 persone non bastano per fare la Rassegna stampa? È un apparato giudicato non all’altezza del toro?
Ma il toro non c’è in questa legislatura!
L’Arena è vuota, si simulano corride, non si governa, si montano spettacoli. Perché in questa pantomima non si consente a Ignacio e ai suoi di fare almeno la loro piccola corrida simulata?

Si potrebbe rispondere che è un mistero, ma non lo è.
È una conferma.
Una drammatica conferma del degrado in cui versa questa Regione degli incarichetti, delle inefficienze, dei dirigenti messi in un angolo perché preventivamente giudicati non allineati, degli assessori ologramma, delle comparse e dei siparietti, delle impunità, della ostentata devastante parzialità della Amministrazione regionale.

Informazione, Politica

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Comments (4) on “Artizzu, si chiama Artizzu, non Sánchez Mejía”

  1. Antonio ha detto:
    22 Maggio 2020 alle 08:20

    “… Jeo no ippo torero…”

  2. Divo ha detto:
    20 Maggio 2020 alle 20:52

    Non vedo nessuna novità. Chi governa ha il potere. Quando ci sono le elezioni , gli elettori decidono(forse) da chi farsi governare.

  3. angelo ha detto:
    20 Maggio 2020 alle 08:29

    al fine di evitare scorribande su internet a chi legge (avendolo già fatto da me) vorrei sommessamente esplicitare che “algodones” significa “cotoni”…

  4. Mario ha detto:
    20 Maggio 2020 alle 08:11

    “Problema”: Ite depimus pessare de nois Sardos? (e neune mi niat chi b’at Sardos e Sardos!)
    Unu provérbiu narat: «A su cristianu no ndhe li benzat [de males, dannos, disastros] cantos ndhe agguantat!»
    Si adatat bene a nois Sardos, ma no ca semus cristianos (ne coment’e categoria zoológica distinta dae sos animales e ne coment’e categoria religiosa chi professat sa fide in Cristos); no, nudha de gai, ma solu coment’e zente morta, mortos in cantu zente, ca a sos mortos che lis podent rúere o betare totu sos muntonarzos a subra e mancu narant nudha: si los muntenent.
    Custa ‘maggioranza’ at a èssere su “epilogo” de sa ‘classe política’ de miseràbbiles chi amus tentu prus pretzisamente dae sos tempos de Giommaria Angioi in pustis sempre e totugantos zoghendhe a sa dipendhéntzia miseràbbile presumida e irresponsàbbile de dipendhentistas e autonomistas de donzi eticheta e misura?
    A sos mortos no lis chirchemus ne libbertade e ne responsabbilidade, ne cusséntzia e ne cultura o ignoràntzia: su chi sunt istados de bonu ch’est in su chelu, su chi sunt istados de malu l’at pagadu Zesugristu. S’àteru est unu punzu de brúere.
    Nois, sos bios ca nessi respiramus, zughimus TOTUGANTOS ancora totu su pesu e dignidade de su èssere zente líbbera e responsàbbile. Ma a ite semus, zoghendhe a miseràbbiles in totu sos sensos? A ite semus pessendhe? Ite lampu de cosa bi zughimus in conca e in sa cusséntzia?

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