Post ferias centenarias pro Partito sardo, fellationibus publicis cotidianis actis causa obliviscendi epulas Sardarae, si può riprendere il filo del ragionamento sul complesso rapporto che ciclicamente lega il mondo del pensiero e dell’azione indipendentista e gli apparati dello Stato italiano e di quanto frequentemente siano apparsi intorno a queste idee, soprattutto quando si registra intorno ad esse un aumento di consenso non in prestito (cioè non derivato, come accade per il Psd’Az attuale, da un acclimatamento in sede regionale di idee popolari nella pancia del popolo italiano).
Abbiamo già raccontato di come Mario Melis descrisse l’agire degli apparati dello Stato, infiltrando, nelle organizzazioni politiche sarde ritenute avversarie dello Stato anche a loro insaputa, personaggi di quarta o quinta fila che poi puntualmente si volatilizzavano ma mai prima di aver inoculato e diffuso, in molte direzioni, il loro veleno del sospetto, dell’equivoco, della menzogna e dell’inganno.
Questa volta andiamo nel 1975, quando un quotidiano italiano pubblicò un documento riservato della prefettura di Cagliari che dava conto di risultanze di un’inchiesta del servizio segreto italiano (il celebre Sid) secondo la quale il Psd’Az si stava finanziando con i sequestri di persona, allora una vera piaga sociale della Sardegna.
Michele Columbu, allora parlamentare del Psd’Az, reagì duramente sulle colonne dell’Unione Sarda. Il giorno dopo gli rispose un’agenzia di stampa che informò che la Procura di Cagliari, nella persona del Procuratore Villasanta, aveva aperto un’indagine contro ignoti per capire chi avesse provocato la fuga di notizie, ma, in questo modo, non negando che il documento e l’indagine esistessero.
Il meccanismo da memorizzare è il seguente. Il Sid registra che l’opinione pubblica sarda è sempre più ostile alla piaga dei sequestri. Prepara un dossier nel quale mischia il vero, il falso e il verosimile, e connota la posizione politica sardista come fiancheggiatrice e utilizzatrice finale di questo abominevole reato.
Sono gli stessi servizi che quando un sequestro riusciva a destare un particolare scalpore, sapevano a chi rivolgersi per risolverlo.
Erano gli stessi servizi che un decennio più tardi, ‘osserveranno’ (secondo loro ‘non visti’) alcuni sardisti prendere contatto con i servizi libici che i servizi italiani stessi avevano sempre avvisato di qualsiasi operazione ostile al regime di Gheddafi.
Sono gli stessi servizi che sempre usano piccole pedine apparentemente innocue (un giorno un sindacalista, un giorno uno che passi per essere più estremista degli altri, un giorno un compassato professionista ecc. ecc) per costruire teoremi diffamatori, divorati avidamente dalla magistratura, volti a intaccare il prestigio dell’avversario.
Certamente, tutto questo non accade al Psd’Az di oggi, che è talmente congruente con la società affarologa italiana da rappresentare più una risorsa per l’affarologia italica che una minaccia. Non c’è bisogno di infiltrare per diminuire il prestigio: accade naturalmente.
… e ‘semplicemente’ PSd’Az = partito italiano regionalista sardo, a duas caras: una cara est pro su vuoto a pèrdere, s’àtera pro su chi bi cabet (a úrtimu ‘Partidu Sardu’ bi l’ant pitzigadu a ispudu, a salia, no siat mai chi sa zente lu currumpat!).
E at fatu sos chent’annos. Si no fit mai nàschidu, cun sa cunfusione e “orgoglio” tricolore de sos fizos de Massimo d’Azeglio semenada in chentu e una manera in conca de sos Sardos, fit chérfidu inventadu.
At a èssere ancora zovanedhu fiorindhe in chirca de un’ideale políticu pro sa natzione sarda, o, cun su ‘ideale’ de su connotu e de s’antigu, unu béciu perdali a marasma senile fóssile?
Su nàrrere chi unu partidu no est mai una roca o coróngiu de eras geológicas!
O sunt fóssiles sas pessones puru chi faghent sos partidos?