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Profondo rosso commerciale

Posted on 24 Marzo 201424 Marzo 2014 By Paolo Maninchedda 3 commenti su Profondo rosso commerciale

rossoRicevo da un amico, che convenzionalmente chiameremo Quintino Sella, questa drammatica descrizione della situazione della Grande Distribuzione e delle sue ripercussioni sui produttori sardi

Ciao Paolo.

Ti scrivo solo per darti delle informazioni su cosa sta succedendo e potrebbe succedere nei prossimi mesi.
Negli ultimi anni la crisi ha depresso i consumi interni e questo in Sardegna ha assunto dimensioni ancora più significative. Circa un quarto dei consumi avviene nel canale discount: questo dato è, insieme a insieme a quello della Puglia, il dato più alto in Italia, ma impressiona la velocità con cui ci si è arrivati.
Gli operatori della distribuzione organizzata hanno avuto una riduzione di fatturato che in certi casi è anche a due cifre. E questo a fronte di costi fissi immutati (energia, lavoro e ammortamenti).
A questo aggiungo che negli anni scorsi questi operatori avevano realizzato significativi investimenti immobiliari.
La componente più significativa della debolezza attuale di questo settore è la totale incapacità imprenditoriale di taluni operatori che stavano in piedi solo con le vacche grasse ed oggi sono incapaci di reagire alla situazione e non sono stati minimamente in grado di prevedere quello che sarebbe successo.

Ora, dopo mesi e mesi di tensione finanziaria, i ritardi dei pagamenti nei confronti dei fornitori sono notevoli (aziende di produzione ma anche e sopratutto operatori della logistica) e la mancata corresponsione di stipendi sta diventando rilevante.
I fornitori stanno bloccando le forniture, ergo i consumatori non troveranno più alcuni prodotti importanti nei punti vendita e quindi la spirale del calo di vendite aumenterà ancora. Si tratta di operatori sardi sopratutto presenti nel territorio regionale e non solo nei grandi poli urbani. Per i grandi gruppi italiani della GDO spalmare le perdite sarde nel fatturato nazionale o mondiale poco conta. Per un gruppo che opera solo in Sardegna il discorso è diverso.

Se questi gruppi dovessero fallire, si porterebbero dietro anche molti fornitori, sopratutto locali. Anche qui: se Barilla, Ferrero, Heineken perdono qualche milione di euro in Sardegna poco male. Se il caseificio cooperativo o il salumificio perdono centomila euro chiudono.

Questi operatori della distribuzione organizzata fino a poco tempo fa, e quindi in tempi di vacche grasse, trattavano i fornitori dall’alto in basso. Loro erano i detentori del rapporto con i consumatori e i fornitori dovevano dipendere da loro oltre che fare loro da banca . Oggi le cose si sono invertite ma c’è poca soddisfazione nel vederli in difficoltà.

Questa crisi si somma a quella del piccolo commercio che loro stessi hanno in questi anni promosso.

Soluzioni? Nessuna.
Devono riorganizzarsi, fare efficienze, fondersi e migliorarsi. Le banche devono, dico devono, accompagnare con urgenza questo percorso non abbandonandoli proprio ora. Occorre ridisegnare per il futuro i rapporti contrattuali nelle filiere e tra produzione e distribuzione.

Paolo, se uno di questi gruppi dovesse fallire parliamo di un migliaio di addetti tra dipendenti dei centri distributivi, operatori della logistica e dipendenti dei punti vendita.

Ti scrivo per fornirti una visione di quanto succede nella società che possa aiutarti nel lavoro che fai. Lungi da me chiedere interventi o sollevare problemi ulteriori. Ma chi governa la Regione deve sapere quali sono le dinamiche in corso. Anche perché questo settore se si ferma un giorno o una settimana e’ finito per sempre. Occorre prevenire eventuali default. Senza fare nomi però credo che il presidente debba avere un quadro di questa situazione e dei possibili sviluppi.

Grazie e buona domenica

 

 

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Comments (3) on “Profondo rosso commerciale”

  1. Sebastiano ha detto:
    26 Marzo 2014 alle 12:30

    Di fronte alla morte delle piccole realtà economiche: artigiani, commercianti, allevatori, agricoltori che hanno causato lo spopolamento dei nostri piccoli centri abitati e la conseguente fuga dei nostri ragazzi fuori dalla Sardegna; pensate che il salvataggio della GDO sia il problema prioritario da affrontare? Domanda che rivolgo in primo luogo alla politica.
    In quest’ultimo decennio che cosa è stato fatto per evitare l’ecatombe delle piccole imprese finite in mano alle banche?
    Imprese che rappresentavano l’identità delle popolazioni locali, l’eccellenza delle nostre produzioni.
    La grande distribuzione ha avuto una parte di responsabilità in tutto questo.
    La disastrosa politica di aiutare il grande a discapito del piccolo mi auguro sia finita.
    Mi auguro non siano sempre i lavoratori a dover pagare.

  2. Marco Sanna ha detto:
    25 Marzo 2014 alle 11:58

    Ma la soluzione può stare nei contratti aziendali che chiedono ai lavoratori aumenti di orario per tenere i negozi aperti più a lungo, come propone l’amministratore di COBEC Rinaldo Carta? Sta nel cercare di fare concorrenza ai colossi della GD attraverso i patti con i dipendenti, quando le altre aziende sarebbero pronte immediatamente ad adeguarsi chiedendo ai propri lavoratori gli stessi sforzi? Questo non può essere il “modello Wolksvagen” che propone Paolo, almeno credo.

  3. Cosimo ha detto:
    24 Marzo 2014 alle 22:17

    Non sono un esperto della grande distribuzione ma una cronostoria si può abbozzare. Tutto ebbe inizio con lo sposare in maniera indiscriminata la nascita delle città mercato, in ogni angolo della Sardegna, dando la possibilità ai grandi gruppi di portare le loro merci “aimè” a discapito delle nostre, creando in breve tempo la chiusura dei piccoli negozi di quartiere, ma non voglio finire nel bla bla bla dell’importanza che questi punti avevano, oltre naturalmente a qualche migliaia di posti di lavoro venuti a mancare. Oggi mi sembra di capire che si stia verificando l’effetto boomerang che purtroppo trascina anche le nostre realtà legate a questi giganti della distribuzione. La politica regionale in tutti questi anni non è stata in grado di produrre quelle regole a difesa delle nostre merci e a tutto ciò che alle merci si lega. Soluzioni cosa fare? Il Presidente al primo punto ha messo la scuola, e da lì che bisogna partire. L’alimentazione deve diventare cultura, insegnare a mangiare bene, insegnare a mangiare i nostri prodotti, far capire tutti i concetti del cibo a km. zero e via discorrendo..questo porterà nuove schiene curve sui nostri campi e ci sarà bisogno di altrettante schiene curve sui libri, tutto ciò non è pensabile nel breve periodo ma, il fare e il sapere ci porteranno diritti all’autodeterminazione.

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