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Non siamo in guerra e non c’è bisogno di prepotenti

Posted on 1 Aprile 20201 Aprile 2020 By Giovanni Lupinu 2 commenti su Non siamo in guerra e non c’è bisogno di prepotenti

È da qualche tempo che imperversano metafore di guerra per descrivere quello che sta accadendo nel mondo con la pandemia da coronavirus. Alcuni osservatori attenti non hanno mancato di rimarcare questo vero e proprio abuso, che non è solo linguistico.

Evidentemente, non siamo in guerra e, grazie a Dio, non ci sono eserciti alle porte che minacciano le nostre vite e la nostra libertà, ma «giornali e tv non si trattengono: linguaggio bellico a volontà e non solo come metafora. Alimentati da leader modesti che cercano una statura che non hanno, adesso sono diventati i cecchini del runner. Vogliono farci credere che siamo in guerra per giustificare la povertà che verrà dopo» (Alberto Negri).

Certo, può essere rassicurante spostare su temi di facile presa emotiva il discorso che dovremmo fare, seriamente, sulle responsabilità che i nostri stili di vita hanno in relazione a quanto stiamo vivendo: ma è difficile mettere in discussione le logiche del profitto che stanno dietro alla retorica delle magnifiche sorti e progressive. Meglio buttarla sulle emozioni belliche, piuttosto che ammettere che gli attuali modelli di sviluppo rendono inevitabili, per i prossimi anni, catastrofi anche molto peggiori (chi è Greta Thunberg?).

In questo clima, gli uomini forti e il pensiero unico fioriscono: bisogna fare quello che ci viene detto senza discutere, non capiamo la gravità di quanto sta accadendo, siamo dei somari che pretendono di dire la loro. Sostenuti da scienziati che assumono dei toni decisamente fuori misura, degni del miglior scientismo, molti governanti stanno tirando fuori i muscoli, non solo verbali: se non fa riflettere quello italiano che minaccia l’uso del lanciafiamme, forse quello ungherese che chiede e ottiene pieni poteri per affrontare l’emergenza dovrebbe dare qualche preoccupazione in più (e ancor di più dovrebbe preoccupare che qualche nostro politico, ora per fortuna all’opposizione, valuti come perfettamente democratico quanto sta accadendo in Ungheria).

Guai a dire, ad esempio, che i bambini – non solo i cani – hanno diritto all’ora d’aria, specie quelli che non sono figli di benestanti e non hanno un bel giardino nella loro villetta. Ci sono pure casi di medici insultati perché uscivano di casa: dagli all’untore! A chi giova questo clima di isteria? Forse a chi in questi anni ha massacrato il sistema della sanità pubblica? E a chi pretenderebbe di controllare le informazioni da dare in pasto all’opinione pubblica (proprio come in Ungheria)?

In questo momento, molti sembrano infastiditi dalla democrazia: di fronte a un’Europa paralizzata dai troppi interessi contrastanti, si stanno indebolendo silenziosamente proprio le difese immunitarie della democrazia. E c’è chi reclama il diritto di dire che questo è molto più pericoloso del coronavirus.

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Comments (2) on “Non siamo in guerra e non c’è bisogno di prepotenti”

  1. Mario ha detto:
    1 Aprile 2020 alle 09:24

    … semus in gherra e narant chi «niente sarà come prima».
    Cioè?
    Prima (e como!!!) s’economia dominante est sempre istada e sighit a èssere cantu e prus de prima una ‘economia’ de gherra cun mortos e istropiados a milliones, distrutzione de òperas, de risorsas e fintzas de su logu, e si no l’ischimus est sinnale de ignoràntzia assoluta, o si b’at chie lu cheret ‘cuguzare’ o fàghere irmentigare est sinnale malepeus, si no de ignoràntzia, de delincuéntzia o de imbrógliu.
    Si oe semus in gherra podimus solu nàrrere chi sos militares chi sunt azuendhe che a sos tziviles sunt serbindhe pro su bonu e no a bombas e cannonadas.
    Ma passada sa tragonaja de su corona virus ant a iscumpàrrere sas bombas atómicas (e sas àteras prus ‘intelligenti’), ant a iscumpàrrere sos bombardieris e naves de gherra o ant a sighire (cun tantos saludos a sos mortos de fàmine e de onzi bisonzu e maladia fintzas de pagu contu), ant a sighire sos leones e isciacallos su ‘giogu’ de ‘realizare’ totu sos benes, òperas, risorsas e triballu e fintzas sa ‘matéria’ umana totu fatu a dinari a muntones e in manos de pagos “Innominati” e a calesisiat costu bàrbaru e disumanu? O bi at a chèrrere carchi àteru corona virus pro la finire cun custa tzivilia assurda e maca e a donzi modu disumana e infame?
    It’est su chi no depet èssere prus coment’e a prima? Si como semus ingiera cun su corona virus, bínchidu su nemigu amus a fàghere un’economia de paghe e coperatzione?
    Sos umanos, sa zenia umana, amus a dèpere èssere che a s’abe sos mojos/casidhos cun d-una reina, unu solu mascru e totu sas féminas chi no ndhe iscassedhat una “perfettamente allineate e dal pensiero unico”? Chi siat unu ‘modellu’ e ‘ideale’ o ‘sentidu’ animale su chi ‘ànimat’ custa tzivilia?

  2. Maria ha detto:
    1 Aprile 2020 alle 09:16

    Testo efficace. Il linguaggio rivela sempre l’abuso, specie metafore e similitudini, che camuffano la realtà e hanno grande impatto emotivo. Ci troviamo dinanzi ad una delle possibili conseguenze della globalizzazione, assurta del tutto acriticamente a simbolo del nuovo e, perciò (ancora una volta la trappola delle parole-moneta spendibile!), moderno ed apprezzabile. Riacquistare razionalità, avere senso critico ci aiuterà a superare questi tempi che ci sfidano. Ci sfidano a trovare soluzioni per tutti, ci sfidano a recuperare senza paura di pre-giudizio qualcosa di vecchio, quei valori come la solidarietà irrisi.
    Personalmente credo che solo una composta, un po’ grigia se comparata ai toni esagitati e accusatori cui siamo abituati, discussione possa portare ad esaminare la situazione e prevedere un futuro. Soprattutto questo dovrebbero fare politici ed intellettuali. Se mancano al compito, dobbiamo lavorare noi stessi per questo. Ho un’idea che direte pazza, irrealizzabile: e se ci tassassimo (ognuno per ciò che può) per finanziare lavoro? Per far studiare un giovane di una famiglia di poche finanze? Basterebbe così poco da ognuno di noi per toglierci da questa mestizia e paralisi e creare quel futuro che i giovani, con altro stereotipo, dicono a loro è stato rubato.

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