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Il Bisconte di Montecitorio

Posted on 13 Settembre 201913 Settembre 2019 By Paolo Maninchedda

Il discorso del Primo Ministro della Repubblica italiana, pronunciato qualche giorno fa in Parlamento per la fiducia al Governo Conte bis (o Bisconte), si compone di 5017 parole, per circa 35.060 caratteri a stampa spazi inclusi.
La parola ‘Mediterraneo’ ricorre solo 3 volte ma, ed è ciò che più conta, in un solo passaggio molto generico sulla politica estera composto da 65 parole, in tutto 444 caratteri spazi inclusi. Nessuna occorrenza per il termine ‘isola’.
Nel pensiero del Presidente del Consiglio italiano, espresso nel momento più importante della sua storia recente, il Mediterraneo pesa l’1,2% del totale.
La Sardegna è totalmente dentro il Mediterraneo.
Il Mezzogiorno è per 4/5 immerso nel Mediterraneo.
Ovviamente non stiamo parlando di geografia, ma di cultura e di luoghi e destinazioni del potere.
I Presidenti del Consiglio italiani applicano la geografia di Montecitorio: il Mezzogiorno e le Isole sono la periferia dell’Europa continentale, cioè dell’Europa carolingia; il Mediterraneo è un volgare mezzo di trasporto, una strada.
Ci si può dunque stupire che il governo Conte prosegua con coerenza l’opposizione alle sentenze della Corte Costituzionale sugli accantonamenti e rinneghi l’accordo sulle Entrate? Si può stupire solo chi non ha consapevolezza critica dei presupposti morali, culturali e politici dei governi italiani. Personalmente ho assistito alla metamorfosi dell’ex assessore Paci che, iniziò fidandosi addiritttura delle parole del Presidente del Consiglio Renzi e finì non fidandosi più di niente e combattendo a suon di ricorsi (vinti) su tutto. Oggi è quasi comico vedere la maggioranza sardo-leghista che ha vinto le elezioni con la dichiarata subordinazione al nordismo (dal quale ambiva a ricavare almeno le briciole del desco) stupirsi adesso del voltafaccia di Conte, l’unico presidente del Consiglio della Repubblica italiana ad aver fatto due discorsi per la fiducia ai suoi governi opposti nei contenuti e negli obiettivi ma tenuti insieme da fragilità e convenienze che niente hanno a che fare con la Sardegna.
Può stupirsi di questa sprezzante decisione del Consiglio dei Ministri italiano un Presidente della Giunta regionale sardo che ha varato la peggiore continuità territoriale che si potesse immaginare con un atto unilaterale e personale?
Spero che queste banalissime osservazioni servano a far comprendere di quale robustezza di pensiero (di pensiero, non di tribù) si debba disporre per contrapporsi agli italiani, la cui visione solo snobisticamente potremmo anche definire volgare e ignorante, ma che dobbiamo constatare essere egemone, diffusa, forte e prepotente. Se l’unica politica di cui si dispone è collocare competenze mediocri laddove servono le eccellenze, come si può pensare di competere? Come si può competere se si è simili se non uguali, secondo il fulgido esempio di Cossiga?
Ci si può contrapporre a queste deformate visioni senza mettere radicalmente in discussione la struttura dello Stato italiano? Ci si può contrapporre a questa preordinata marginalizzazione senza un nuovo pensiero sulla natura dei poteri in Italia? Si può pensare che la Sardegna possa contrapporsi a questo ostentato disprezzo, senza una solida visione di sé come Stato? Mi pare di no. Noi dobbiamo contrapporre alla superficialità, la profondità, alla conservazione delle forme tradizionali del potere, il disegno di nuovi assetti e di nuovi poteri, di nuove istituzioni e di nuovi Stati.

Mediterraneo, Politica

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