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Facebook: come ci usa, come ci incattivisce

Posted on 20 Settembre 201620 Settembre 2016 By Paolo Maninchedda

no-tenemos-wifi-600di Paolo Maninchedda
L’Economist, in un articolo dell’aprile scorso, dava conto dei motivi del successo di Facebook. In particolare spiegava come e perché è riuscito a diventare un business. Ecco il passaggio centrale del testo (in traduzione libera): «Il fattore più importante nel trasformare Facebook in un enorme business è la quantità di dati raccolti. Gli utenti condividono volentieri stock di dati con Facebook, come i loro interessi, la biografia, la posizione e gli amici. Facebook può anche tenere traccia di tutto ciò che gli utenti visitano in linea: qualsiasi cosa con un “Mi piace” retroagisce informazioni su Facebook, così l’accesso attraverso le credenziali Facebook ad altri siti.  Nessun’altra società di web, con l’eccezione di Google, ha più dati sugli utenti di quelli raccolti da Facebook. Questa è la base del successo (commerciale ) di Facebook. Gli inserzionisti sono in grado di raggiungere gli utenti con grande precisione, in base a ciò che Facebook sa di loro, e stanno spendendo una quota enorme dei loro budget pubblicitari on-line sul social network. Il passaggio da computer desktop ai dispositivi mobili inizialmente era stato visto come un grave rischio per tutte le imprese che dipendono dalla pubblicità online, ma oggi ha dato una spinta in più Facebook. I telefoni cellulari allungano la quantità di tempo trascorso dagli utenti su Facebook e offrono al social network ancora più informazioni con cui indirizzare gli annunci, come ad esempio la loro posizione e il tipo esatto di dispositivo».
In breve, Facebook è un grande big data che prima profila ognuno di noi e poi ci usa come target per la manipolazione pubblicitaria e no.
C’è un altro aspetto di Fb che viene sottovalutato ma che sta incidendo moltissimo sulla struttura dell’opinione pubblica: la tribalizzazione della società.

Facebook incentiva la formazione di gruppi chiusi dogmatici, stretti intorno a un intereresse che costituisce il vincolo di gruppo e che giustifica tutto (qualcosa di meno e di più raffinato dei codici interni delle bande di bikers americani o delle ganga di quartiere). L’esercizio critico contro questi gruppi (da quelli delle scie chimiche a quelli delle terapie alternative alle cure tradizionali per i tumori) è controproducente: ogni critica è vista come minaccia che conferma la ragion d’essere del gruppo. Ciò che dissolve la tribalizzazione è la distanza, l’indifferenza, il parlare d’altro, il non accettare lo scontro su un terreno già segnato e per di più in modo erroneo.
Questi temi sono oggi decisivi per il futuro degli stati e invece sono oggetto solo di riflessioni e approfondimenti elitari: poche scuole hanno messo seriamente in discussione Facebook in classe; pochi partiti considerano Facebook il Grande Fratello che manipola la pubblica opinione. L’ignoranza è la grande stampella della tirannia.

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