Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Caro Paolo,
ovviamente durante la scorsa campagna elettorale regionale e ancora in queste settimane, e nei giorni del congresso (“Curare le radici, rigenerare il Partito Sardo d’Azione”) che si è svolto, anche nel tuo sito dei Quattro Mori si parla e si scrive, restando però sempre sulle generali e badando ai loro posizionamenti rispetto agli altri soggetti sulla scena ma, per il più, saltando la questione centrale (e dirimente ogni successiva considerazione): vale a dire, la coerenza del presente con la natura ideale e storica di una formazione più che centenaria che non può, per mero dato o necessità di “aggiornamento”, trasformarsi nel contrario di quel che era. E com’era stata, direi, dal 1920-21 al 1976 (volendo prendere come termine la morte di Giovanni Battista Melis) o ai primi anni ’90 (a voler comprendere anche la presidenza della Regione nella nona legislatura autonomistica e magari ancora l’esperienza di europarlamentare di Mario Melis, altra personalità a me carissima purtroppo scomparsa).
Le evidenti trasformazioni sociali ed economiche, culturali e tecnologiche intervenute, in derivazione anche delle nuove dinamiche dello scenario internazionale, nel lungo arco di tempo che ci separa dalle “premesse” storiche, non possono consentirci alcuna astratta (e artificiosa) replica delle politiche datate, ma neppure possono rovesciare principi e valori che hanno dato senso e prestigio a una presenza così ripetutamente chiamata alla assunzione di responsabilità pubblica e non soltanto alla testimonianza generica. Nel tempo in cui la società liquida ha disperso o distrutto le ideologie dottrinalizzate, non può non rimanere in campo almeno il riferimento, morale e culturale, ai valori storici a fondamento di una così prolungata partecipazione alla scena pubblica.
Sicché vedere il PSd’A d’oggi e di ieri schierato con la destra e i (beceri) sovranisti che consideravano noi meridionali e isolani poca roba e consacravano l’Italia riscoperta tutta intera (dopo le verminose bevute dalle ampolle del dio Po) alla Vergine Maria e anche a Putin, è cosa che annichilirebbe Lussu e Mastino, Puggioni e Contu, Oggiano e tutti i Melis e l’intera dirigenza che era anche passata con Angius (associato a Silvio Mastio) per l’antifascismo, con Contu (associato a Cesare Pintus e Michele Saba) per la galera di Giustizia e Libertà, con Dino Giacobbe (con quanti Burrai!) per la guerra di Spagna, con Pietro Mastino (con quanti azionisti!) per i governi di CLN Parri e De Gasperi e la Costituente. Da Parri a Salvini è stato il passaggio avvenuto senza pudore in questi ultimi decenni, ma non a caso. Il ricordo di Giovanni Battista Melis incarcerato ventiquattrenne insieme con Ugo La Malfa suo coetaneo nello stesso San Vittore di Antonio Gramsci è svanito nel nulla; così quello della comune battaglia parlamentare-governativa, fra il PSd’A di Melis e il PRI di La Malfa, per il piano di Rinascita a “conduzione” regionale invece che in capo ad una CasMez infeudata dai dc. E se non ci si imbeve di storia, della storia migliore s’intende, si finisce per consumarsi nell’effimero che non sogna e non progetta e non realizza.
Non la faccio lunga. Ho dedicato quarant’anni della mia vita allo studio delle carte d’archivio e pubbliche del PSd’A e ad essa ho consegnato, o restituito, dopo cinquemila pagine di approfondimenti, credo anche originali, i sentimenti civili più personali, ben conoscendo la radice democratica e mazziniana, federalista e cattaneoiana, asproniana e tuveriana del sardismo affacciatosi nelle pagine della Voce dei combattenti e de Il Solco, e del sardismo nei suoi passaggi successivi – al netto del nefasto svarione fasciomoro del 1923-1924; non posso, ora, non cogliere come un lutto doloroso le fascinazioni che una certa militanza improvvisata e una certa dirigenza altrettanto improvvisata ha subìto – non conoscendo neppure di nome Armando Businco – dalla imperante commedia leghista e destrorsa. Ma credo di dover collocare l’origine di questa triste involuzione nella ubriacatura nazionalitario-indipendentista portata dai gruppuscoli intruppatisi negli anni ’70 in “odio” ad un’Italia caricaturata nella abusiva confusione (tanto deprecata da Bellieni nella famosa lettera agli “amici cagliaritani”) fra il cattivo governo e la patria delle comunità federate battezzate dal Petrarca: quando si osò sostenere (in limba naturalmente) “non siamo né di destra né di sinistra, siamo sardisti”; refrain fatto proprio, tempo dopo, dai 5 Stelle, che infatti spalmarono le loro cattive prove di governo ora con la destra ora con la sinistra, senza mai credere in nulla, e confondendo il loro movimentismo con la nobile politica che va sempre per obiettivi di storia in costruzione.
Sono caduti tutti i partiti della cosiddetta “prima repubblica”, per difetto delle classi dirigenti subentrate (per passo di natura o di anagrafe) ai fondatori che per la Repubblica ”una e indivisibile” avevano combattuto e rischiato, portando il meglio delle loro energie e intelligenze, e in convergenza verso il testo costituzionale, dal fronte progressista e di classe a quello liberale e perfino monarchico, da quello laico riformatore a quello cattolico degasperiano. Quel che, ormai giunto al mio tramonto, non riesco a comprendere è perché manchi in assoluto, nelle giovani militanze e nelle giovani dirigenze, il gusto di restituire il sapore della storia al loro impegno, accostandosi esse in umiltà al magistero e alla testimonianza civile di quanti, ottant’anni fa, consegnarono noi tutti, ineunti generazioni postbelliche, l’Italia (e la Sardegna con l’Italia e nell’Europa sognata da Mazzini e risognata a Ventotene) alla democrazia e al progresso dopo sofferenze della dittatura e le devastazioni della guerra nazi-fascista.
Tuo
Gianfranco Murtas
A “pecora nera”
S’unicu cummentu degniu de esse lettu.
Gli uomini muoiono, le idee mai. Nonostante i tradimenti.
Anche io ho visto come un tradimento di idee ancora valide l’accordo con la Lega e il centrodestra in genere.
Bisogna ritrovare la strada: le giravolte dell’ultimo periodo sono state … ardite
Il Pavone e il Congresso della Giungla.
Nel cuore di una fitta giungla, il Partito della Selva Democratica e Autonomista della Zona si trovava a un bivio. Il congresso annuale era convocato per decidere il futuro del partito, e il Pavone, il segretario attuale, era determinato a riconfermare la sua leadership. Il Pavone, con le sue piume sgargianti, era un maestro nell’arte della retorica. Nonostante le critiche per la sua gestione superficiale e poco incisiva, sapeva come affascinare e persuadere la sua audience. Al congresso, presentò una visione colorata del futuro, promettendo rinnovamento e prosperità senza precedenti per la giungla, usando parole cariche di ottimismo e promesse seducenti. La Vecchia Scimmia, nota per la sua saggezza e il suo scetticismo, sfidò il Pavone, sottolineando la mancanza di risultati concreti e la superficialità delle sue proposte. “Belle parole, mio caro Pavone, ma quando il monsone arriverà, le tue piume ci proteggeranno forse dalla pioggia?” chiese con una nota di sfida. Tuttavia, il carisma del Pavone era troppo forte, e il suo discorso era così abilmente costruito che, nonostante la mancanza di sostanza, riuscì a catturare l’immaginazione di molti. Con un misto di ammirazione e speranza, gli animali del congresso votarono, e contro ogni previsione, il Pavone vinse la rielezione con una maggioranza schiacciante. Trionfante, il Pavone si pavoneggiò davanti ai suoi sostenitori, le piume brillanti al sole. “Vedrete,” proclamò, “queste piume non solo adornano, ma guideranno la nostra giungla verso un’era di splendore mai visto!” La Vecchia Scimmia, pur delusa, osservò l’esito con occhio critico. “Forse,” rifletté, “questa è la lezione che dobbiamo imparare. Nel teatro della politica, a volte, lo spettacolo conta più della sostanza. Ma staremo a vedere come queste promesse si manterranno quando le sfide reali ci bussano alla porta.” E così, con il Pavone al comando, il Partito della Selva Democratica e Autonomista della Zona si avventurò in un futuro incerto, sotto l’egida di un leader che aveva vinto il cuore dei suoi elettori più con lo splendore delle promesse che con la forza delle azioni. Solo il tempo avrebbe rivelato se le sue colorate visioni avrebbero portato frutti reali o se sarebbero svanite come miraggi al primo segno di tempesta.
Essss .. Per leggerlo mi ci sono volute le bombole. Verificherei che il tasto del punto della tastiera del PC non sia disattivato
Meno male che ogni tanto qualcuno fa il
Punto sulle cose vere della Storia e dei Valori lèggessero e studiassero i bifolchi che scaldano certe poltrone con i loro pesanti deretano
Gianfranco Murtas, proite sa lìtera a Paulu Maninchedda?
Est fossis una chistione de Maninchedda tou?
E sa chistione de su PSd’Az. tiat èssere «la coerenza del presente con la natura ideale e storica»?
E cale ideale? De sa «nazione fallita» chentza cumprèndhere e ne chèrrere cumprèndhere su fallimentu issoro?
Su PSd’Az. est nàschidu, créschidu, ispérdidu, e torradu a nàschere, crèschere, mòrrere, torradu a nàschere crèschere e imbetzendhe mori mori e solu e sempre PARTIDU ITALIANU REGIONALISTA in Sardigna.
«Coerenza» cun ite e cun chie e proite e comente?
E si ancora su PSd’Az. si agatat carchi motivu bi at, ma tue in su dna tou de “monade” ruta o imbolada in Sardigna no bi lu tenes o no ndhe as bidu o no ndhe as mai chircadu e ne chérfidu ischire.
E sas imbriagaduras e imbriagheras no sunt cussas chi naras «nazionalitario-indipendentista portata dai gruppuscoli intruppati» ma cussa de intellettuali e politici saliti fintzas agli onori degli altari, chi no tenent solu sos méritos chi tenent, e fintzas pro carchi pontighedhu in su Flumendosa e “piani di rinascita” chi prus méritant de lis nàrrere de morte, a «conduzione regionale» buratinaja Trans-tirrénica; e si Silvio e Matteo salvinistas, a diferéntzia, hanno sognato e sognano su ponte Sicilia-Calabria, sos “politici” sardignoli invetze su ponte trans-tirrénicu Sardegna-Italia (pardon: regione Sardegna – penisola italiana) l’ant fatu e comente e a tortura perenne e isperèndhela eterna de sos Sardos, tantu su destinu nostru puru za est chi ziramus pàzine e lìbberu che a totugantos, si no fit ca sughestantu semus nois puru zente, si semus zente, lìbbera e responsàbbile, si no semus marionetas in manos anzenas dipendhentes e imbriagados.
Gianfranco Murtas, però, in chimbemiza e prus pàzines chi as iscritu no as àpidu mai nudha de colonialismu, dipendhéntzia, domìniu, isfrutamentu e isperdimentu de sa Sardigna e de sos Sardos, a disocupatzione e fuidura/esodo de zente dae sa terra sua etotu e a ocupatzione militare a poligonos de gherra faghindhe e de fàghere e àteras porcherias infames in totu sos tempos monàrchicos, fascistas e repubblicanos.