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Fare università in Israele

Posted on 23 Gennaio 202412 Febbraio 2024 By Stefano Rapisarda 1 commento su Fare università in Israele

Povera università israeliana, tra l’incudine degli accademici occidentali antioccidentali che gridano al genocidio e chiedono il boicottaggio, e il martello del governo in carica, che ci vede un covo di resistenti, la quinta colonna da cui sono partiti gli scioperi senza precedenti che hanno rallentato la riforma della Corte suprema nello scorso mese di marzo.

Stefano Rapisarda insegna all’Università di Catania ed è Visiting Professor presso la Hebrew University of Jerusalem

Eppure, senza esitazioni e senza resistenze ideologiche, le università hanno fornito alle forze di difesa studenti da arruolare e docenti riservisti da richiamare e da inviare a Gaza.
Eppure qui, nelle università israeliane, studenti ebrei e arabi si parlano.
Eppure proprio qui, e solo qui può capitare di sentire, seduti al caffè della Hebrew University, una conversazione tra una docente, comunista dichiarata, e un dottorando arabo israeliano di religione cristiana.
A ogni frase la conversazione ribalta slogan e luoghi comuni.
La professoressa è di Hadash, che più antipatizzante di Nethanyau non si può; il dottorando viene da Kafr Yasif, una delle città arabe di Galilea in cui esiste ininterrottamente dal 1948 un consiglio comunale arabo, che ha avuto per un decennio un sindaco comunista e una donna, Violet Khoury, che è stata la prima donna araba sindaco di un comune in Israele.
Molti a Kafr Yasif hanno letto Gramsci, dice il ragazzo, e il paese ha la fama di essere uno dei centri con il più alto livello di istruzione, ribadisce non senza orgoglio.

La tesi di dottorato verte su Return to Haifa, il romanzo di Ghassan Kanafani, scrittore e politico palestinese, membro di spicco del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, ucciso a Beirut nel 1972, probabilmente dal Mossad per il suo ruolo nel massacro dell’aeroporto di Lod.
Il romanzo parla dell’occupazione israeliana del 1948, vista da una famiglia di Haifa. È la storia di Said e Safiyah, che partono da Haifa il 21 aprile 1948 in circostanze assai drammatiche, lasciando il figlioletto Khuldun sotto le macerie di un palazzo. Forzatamente imbarcati da una nave britannica che li sbarca ad Acri, si sono trasferiti a Ramallah, dove si sono fatti una nuova vita e hanno avuto un altro figlio, Khalid.
Dopo 20 anni di inutili ricerche decidono di tornare ad Haifa con l’inconscia e comune speranza di ritrovare il figlio disperso.Trovano la loro vecchia casa, che nel frattempo è stata occupata da una famiglia ebrea, Marian e suo marito, Iphrat Koshen.
Scoprono che la nuova famiglia, tramite l’Agenzia Ebraica ha adottato il bambino abbandonato tra le macerie.
Non è la prima delle sorprese. Il ragazzo è totalmente ebraizzato. Adesso si chiama Dov, e sta prestando il servizio militare.
In tuta mimetica dichiara di non provare alcun sentimento verso i genitori biologici; nonostante sapesse che i suoi genitori erano arabi, per lui non è cambiato nulla. Si sente ebreo e i suoi genitori sono ebrei. Said e Safiyah turbati tentano una conciliazione, impossibile, tra reciproche recriminazioni.
Decidono allora la rimozione: quello che hanno perso ad Haifa non è loro figlio. Torneranno a Ramallah, e dichiareranno affetto e stima per l’altro figlio, Khalid, che si arruola nei Fedayn.
Questo è un capitolo, di una tesi sull’identità palestinese, pagata dal contribuente israeliano, su uno scrittore che nei territori occupati viene considerato un eroe; gli altri saranno poemi, A Cloud for Sodom di Darwisch e Abd el-Hadi Fights a Superpower di Taha Muhammad Ali, testi non proprio patriottici, per una università in guerra.
Povera università israeliana, così incompresa, e povere sinistre del mondo, così boicottanti.

Politica, Vetrina

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Comment (1) on “Fare università in Israele”

  1. Franco+Sardi ha detto:
    23 Gennaio 2024 alle 09:50

    Grazie Paolo
    Un contributo serio ed emozionante
    Grazie

Comments are closed.

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