I dati relativi all’affluenza alle urne nelle recenti consultazioni regionali offrono uno spunto significativo per riflettere sull’impatto che i diversi sistemi elettorali possono avere sulla partecipazione democratica. In Valle d’Aosta, dove si votava con un sistema proporzionale, ha votato il 62% circa degli aventi diritto. Nelle Marche, dove il sistema era maggioritario con elezione diretta del Presidente, la partecipazione si è fermata al 50% circa.
Questo divario non è casuale.
Il sistema proporzionale garantisce a ogni voto un peso più diretto e rappresentativo.
In un sistema in cui anche le minoranze possono ottenere seggi in base ai consensi ricevuti, gli elettori si sentono maggiormente coinvolti e rappresentati.
La percezione che il proprio voto possa davvero fare la differenza, anche senza appartenere a una maggioranza schiacciante, rafforza il senso di efficacia del voto.
Invece, nei sistemi maggioritari, dove spesso “chi vince prende tutto”, gli elettori che non si riconoscono nei grandi partiti o che vivono in aree dominate da una sola forza politica possono sentirsi scoraggiati, convinti che la loro scelta non cambierà l’esito finale. Questo ha portato al disimpegno progressivo e all’erosione della fiducia cui assistiamo in questi anni.
Il caso della Valle d’Aosta lo conferma: la possibilità di vedere rappresentata la propria opinione, anche se minoritaria, spinge i cittadini a partecipare. Il sistema proporzionale, quindi, non è solo più equo nella distribuzione dei seggi, ma più inclusivo e motivante, perché costruisce una democrazia in cui ogni voce ha la sensazione di contare.
Il Campo Largo è naufragato, a dimostrazione che l’uso strumentale del dramma palestinese, il gridare “al lupo al lupo” sulle questioni economiche, il ripetere che la riforma della Giustizia è dannosa ecc. ecc. non porta da nessuna parte. Adesso la Schlein si affida alla rivincita in Campania e Puglia, cioè a quelle partite che il maggioritario ha già dichiarato chiuse, cioè che dipendono più dalle consuetudini degli elettori che dalle loro convinzioni.
Una parziale conclusione: il risultato dell’Union Valdotaine (consensi pari a quasi tre volte quelli dell’intero Centrodestra) dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, cosa si potrebbe e si dovrebbe fare in Sardegna: un grande partito federalista, che metta al centro la questione dei poteri dei sardi indispensabili ai sardi, che ricostruisca un’etica civile del dovere affiancata a quella del diritto, che unisca le anime socialiste, laiche, liberal-democratiche della Sardegna, che ci liberi in un sol colpo dagli estremi e dai finto-centristi (che in Sardegna sono gli opportunisti).

Caro Professore
Un modo per far tornare alcuni di noi alle urne ci sarebbe .
Le scrivo da sardo all’estero, con l’animo diviso tra l’orgoglio delle nostre radici e l’amarezza nel vedere il sardismo di oggi frammentato e distante dal messaggio che un tempo sapeva parlare a tutti noi.
Molti di noi ricordano Mario Melis non solo come un presidente, ma come un punto di riferimento. Con lui il sardismo era identità, dignità, competenza. Era la voce di un popolo che sapeva rivendicare la propria storia senza chiudersi, dialogare con l’Italia e con l’Europa senza smarrire la propria anima. Era un messaggio alto, colto e popolare al tempo stesso.
Oggi invece, noi sardi emigrati facciamo fatica a riconoscerci nel Partito Sardo d’Azione o nelle formazioni che da esso sono nate. La frammentazione, le divisioni, i compromessi logoranti hanno reso il sardismo meno visibile, meno forte, meno incisivo. Ha perso quella capacità di emozionare e guidare che lo rendeva unico.
Professore, è per questo che mi rivolgo a Lei. Credo che oggi il compito più urgente non sia fondare nuovi sigilli o marcare differenze, ma ricostruire unità e autorevolezza. È meglio avere un unico partito sardo, plurale e ricco di correnti diverse, piuttosto che tanti piccoli partitini incapaci di contare. I numeri lo dimostrano: quando Renato Soru si presentò prese il 10%, Michela Murgia arrivò al 15%. Se queste forze, invece di disperdersi, si fossero sommate in un’unica casa sardista, oggi parleremmo di percentuali decisive.
Il sardismo, se diviso, scompare. Se unito, può ancora dare voce a quel sentimento profondo che Melis seppe incarnare: la Sardegna come comunità viva, fiera e protagonista.
Mi auguro che Lei, con la sua esperienza e la sua sensibilità, possa farsi promotore di questa ricomposizione. Sarebbe un atto di coraggio politico e di amore per la nostra isola.
Professore, sono d’accordo con lei con tutto quello che ha scritto!
Prepotenza dei piccoli Re? Semmai dei piccoli gerarchetti repubblicani. Questo è il fatto!
il maggioritario però ha portato stabilità politica con il proporzionale andremo a votare due volte l’anno , un partito tutto sardo non è possibile troppe divisioni quanti partiti indipendentisti/autonomisti abbiamo ? c’è un signore che si dichiara indipendentista che ad ogni tornata elettorale fonda un partito adesso è in regione bello comodo , la gente non crede più in questa politica
Sarebbe ora di riprovarci, ma occorre rimettere mano alla legge elettorale. E non saranno certo le attuali forze di maggioranza e opposizione a farlo.
A Tziu NO: is polìticos sardos FUNT IN ITALIA ma no ischint chi portant is peis in Sardigna, e deasi a ispimpirallamentu e divisionismu de seguru no po bòlere guvernare sa Sardigna, ponendho de pentzare bene de totus; ma deo, si sartant su Tirrenu giai solu po cussu ndhe pentzo male e ndhe dhos apo bogaos de is arraighinas ca funt sa divisione, su fratzionamentu macu chi faent fàere a sa gente faendho votare per fatto personale, ma po torracontu colletivu de sa Sardigna e prus unione seus totus a tallus a tallus (crabas o brebeis pagu diferéntzia faet) cun “pastores” de divisionismu e àteru torracontu.
Egregio, la Sua posizione in merito alle formule elettorali è da tempo nota e motivata. Tuttavia il sottoscritto continua a dissentire circa le cause della disaffezione degli elettori. Cadute le contrapposizioni ideologiche, ha sempre più preso piede il voto del meno peggio o, se preferisce, del “turiamoci il naso” di montanelliana memoria. È la presa d’atto che in un paese in maggioranza moderato ci si deve consolare con le poche proposte sensate che gli schieramenti, tutti, formulano. In soldoni, si tagliano le estreme (che siano di dx o di sx) e si sceglie. Chi proprio non ce la fa a turarsi il naso sta a casa, sconsolato. Le formule elettorali sono solo uno strumento (che incide sul risultato, certo) ma se manca la parvenza della buona politica il cittadino si ispira al principio del “ognun per sé e Dio per tutti”. Che è l’opposto del bene comune che dovrebbe guidare la vita di uno Stato. Saluti.
Giustu!!!
E su “premio di maggioranza” (e prémiu poita, ca si dhu pigant e no dhu lassant a chini at pigau cussu votus?) est de marca fascista ca fait = (oguali) a ZERO su votu de is àterus!
Critériu de gherra, dignu de prepotentis e democrattori della Ditta.
Paolo, hai centrato il problema. Se non ci si sente ascoltati, è facile perdere fiducia e voglia di partecipare. In Sardegna serve davvero più unità e partecipazione, puntando sulle reali esigenze dei sardi. Solo così si può ricostruire fiducia nella politica. Grazie per averlo detto (come sempre) chiaramente.
Anche questa volta non li hanno visti arrivare 😂😂😂
Il sistema maggioritario, come in Italia non assicura se non la prepotenza dei piccoli re.
Indubbiamente il sistema proporzionale è quello percepito come il più “giusto” ed equo. Sebbene creando alleanze post voto può riservare sorprese sgradite allo stesso elettore. Tuttavia un sistema elettorale deve coniugare le esigenze di rappresentatività e di governabilità e solitamente, queste ultime, sono garantite dal sistema maggioritario. Nella realtà applicativa abbiamo visto che, da noi, nessun sistema funziona per bene a riprova che tutto dipende dallo spessore delle persone e non dal sistema elettorale. Ricordo ancora il Governo Palomba, proporzionale, che veniva disarcionato e rimesso in sella continuamente; troppo potere a gruppi, partitini e singoli. Ma bisogna parlarne, eccome!! Infine concordo che in Sardegna, come lei sostiene, è certamente auspicabile un partito autonomista/federalista di matrice culturale laica e liberale; visto che la galassia autonomista sarda è di matrice filo-marxista (!!) e senza alcuna speranza di prospettive elettorali credibili.