La senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta a Aushwitz, è intervenuta qualche giorno fa sul Corriere della Sera, per ribadire una sua convinzione che, nel mio piccolo, trovo giusta e ragionevole: chiamare la strage dei palestinesi a Gaza ‘genocidio’ è sbagliato ed è una precisa scelta politica, non un resoconto fedele di quanto sta accadendo.
Seguiamola nel suo ragionamento.
“Nella drammatica situazione di Gaza non ricorre nessuno dei due caratteri tipici dei principali genocidi generalmente riconosciuti come tali — il Medz Yeghern degli armeni, l’Holodomor dei kulaki ucraini, la Shoah degli ebrei, il Porrajmos dei rom e sinti, la strage della borghesia cambogiana, lo sterminio dei tutsi in Ruanda — mentre sono piuttosto evidenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sia da Hamas e dalla Jihad, sia dall’esercito israeliano. I caratteri tipici dei genocidi sono essenzialmente due, uno è la pianificazione della eliminazione, almeno nelle intenzioni completa, dell’etnia o del gruppo sociale oggetto della campagna genocidaria, l’altro è l’assenza di un rapporto funzionale con una guerra. Anche i genocidi commessi durante le due guerre mondiali (armeni, ebrei, rom e sinti) non ebbero la guerra né come causa né come scopo, anzi furono eseguiti sottraendo uomini e mezzi allo sforzo bellico. D’altronde, anche di fronte ad operazioni militari volte intenzionalmente a produrre vittime civili e che hanno causato morti innocenti nell’ordine di decine di migliaia (Dresda) o centinaia di migliaia in pochi giorni (Hiroshima e Nagasaki) o addirittura un milione (assedio di Leningrado), non si è mai parlato di genocidi“.
Chiariti i suoi criteri di definizione, la Segre richiama il clima di sopruso culturale generalizzato che si sta vivendo da tempo in diversi ambienti della cultura e della politica italiana:
“Le parole, a volte, diventano clave. Negli ultimi mesi ho fatto appelli per il cessate il fuoco, ho condannato le violenze, ho espresso la più profonda partecipazione al dramma delle vittime innocenti palestinesi e israeliane, ho invocato un rispetto sacrale verso i bambini di ogni nazionalità, di ogni credo, di ogni religione, ho manifestato ripulsa verso lo spirito di vendetta. Eppure, o ti adegui e ti unisci alla campagna che tende ad imporre l’uso del termine «genocidio» per descrivere l’operato di Israele nella guerra in corso nella Striscia di Gaza, o finisci subito nel mirino come «agente sionista». Le cose in realtà sono più complesse e colpisce che alcuni tra i più infervorati nell’uso contundente della parola malata si trovino in ambienti solitamente dediti alla cura, talora maniacale, del politicamente corretto, del linguaggio sorvegliato che si fa carico di tutte le suscettibilità fin nelle nicchie più minute“.
Questa osservazione, cioè l’uso ripetuto del termine e la pretesa che esso sia l’unico da utilizzarsi, per descivere la situazione, da parte delle stesse persone che hanno fatto del politically correct non uno stile espositivo, ma un’ideologia di controllo e censura contro chi non accetta la cultura woke, è rivelatrice dell’uso politico e non denotativo del termine ‘genocidio’: non si vogliono descrivere le cose, si vuole addebitare a Israele la stessa colpa dei carnefici che hanno sterminato 6 milioni di ebrei, in quanto ebrei, nei campi nazisti, ma che ne hanno ucciso non pochi altri nella storia sull’onda della colpa di deicidio e di venalità che i cattolici e i protestanti (si legga Degli ebrei e delle loro menzogne di Lutero per capire) non hanno lesinato di accampare nell’arco dei secoli di storia europea.
Si vuole fare di Israele un surrogato nazista. Le conseguenze sono ben descritte dalla Segre:
“L’accusa strumentale del genocidio proietta sull’intero Stato di Israele e su tutto il popolo israeliano — non solo sul pessimo governo in carica — l’immagine del male assoluto. Una demonizzazione ingiusta, ma anche controproducente per le prospettive di pace e convivenza. Ogni riduzione dell’altro a mostro, ogni cancellazione manichea delle sue ragioni — vale per i sostenitori acritici dei palestinesi, ma vale specularmente anche per i sostenitori acritici del governo israeliano — serve solo a perpetuare la guerra, a rinsaldare la trappola dell’odio e ad allontanare il giorno in cui potrà, dovrà sorgere uno Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele.
In terzo luogo, la cultura antifascista e antitotalitaria ha avvertito da sempre le implicazioni velenose delle operazioni di negazionismo, riduzionismo, relativizzazione, distorsione o banalizzazione dei genocidi. Di lì passano inesorabilmente le rivalutazioni delle peggiori dittature e le campagne nostalgiche. Da lì parte il sistematico abbassamento degli anticorpi che sorreggono la coscienza democratica dei cittadini. Inquieta che anche alcuni di coloro che meritoriamente si dedicano alla tutela e alla trasmissione della Memoria sembrino non capire che lasciar passare oggi l’abuso del termine genocidio significa produrre una crepa in un argine. E se crolla quell’argine, domani, potrà passare ben altro“.
La ringrazio per questo articolo poiché offre un’opportunità di dibattito su un argomento molto complesso e delicato.
Io ho trovato le argomentazioni proposte dalla senatrice Segre molto deboli, eccone qui i motivi:
La definizione di genocidio stabilita dalla Convenzione ONU del 1948 parla di atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Non è richiesta una “pianificazione” formale, come indicato nell’articolo, ma si sottolinea il requisito dell’intenzione.
Proprio su questo punto, organizzazioni come Law for Palestine hanno raccolto centinaia di dichiarazioni ufficiali israeliane (+ di 500 al momento) che esprimono intenzioni chiaramente riconducibili alla distruzione dei palestinesi come gruppo. Tra queste spicca l’affermazione dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant: “Non ci sarà elettricità, né cibo né acqua né benzina, tutto verrà chiuso. Stiamo combattendo contro animali e ci comporteremo di conseguenza.” Questi elementi non possono essere liquidati come semplice retorica, poiché indicano un’intenzione che sarà esaminata alla luce del diritto internazionale.
Per questo motivo il confronto tra Gaza e episodi storici come Dresda o Hiroshima non mi sembrano appropriati. Come evidenziato sopra, il genocidio non si misura solo in base al numero di morti civili o alla velocità in cui vengono uccisi, ma alla volontà deliberata di eliminare un gruppo.
A questo proposito vorrei ricordare un punto chiave che manca completamente nell’articolo: la lunga storia di occupazione israeliana, il controllo sui palestinesi, la sistematicità delle violenze e della negazione dei loro diritti fondamentali, sono tutti elementi che rivelano un quadro di eliminazione e assimilazione territoriale ben più ampio degli eventi in corso.
Un piccolo esempio è stata anche la mappa presentata da Netanyahu alle Nazioni Unite il 22 Settembre 2023 (ben prima dell’attacco terroristico del 7 ottobre), la quale escludeva completamente la presenza palestinese a Gaza e in Cisgiordania che risultavano annesse allo stato di Israele. Questo approccio non è nuovo: già nel 1977 il Likud parlava di uno Stato “dal fiume al mare”, escludendo di fatto qualsiasi spazio per la sovranità palestinese.
Ed è anche questo un motivo ulteriore che potrebbe dimostrare l’intenzionalità.
Un altro argomento chiave dell’articolo riguarda la relazione tra genocidio e guerra. Segre sostiene che i genocidi riconosciuti storicamente non siano stati perpetrati attraverso conflitti armati, ma questa osservazione non mi sembra pertinente. La definizione di genocidio non specifica le modalità con cui deve essere perpetrato, ma si concentra sulle intenzioni. Il fatto che storicamente alcuni genocidi siano avvenuti senza un rapporto funzionale bellico non significa che un genocidio compiuto attraverso una guerra perda questa qualificazione.
Il nocciolo della questione, secondo me, è un elemento riportato sia nell’articolo di Segre che nel suo qui sopra: la preoccupazione che accusare Israele di genocidio possa alimentare sentimenti antisemiti.
Segre teme che definire genocidio ciò che accade a Gaza serva a equiparare Israele ai carnefici nazisti, con il rischio di una demonizzazione dello Stato israeliano e del popolo ebraico. È una preoccupazione legittima, che merita di essere ascoltata. Tuttavia, bisogna chiedersi se evitare l’uso di un termine che al momento sembra giuridicamente appropriato (a meno che la corte non dimostri il contrario ovviamente) per timore delle sue conseguenze politiche o culturali rischia di diventare una forma di autocensura.
Lottare contro l’abuso dei termini non significa evitare di usarli, ma applicarli con rigore e onestà e mi sembra che le argomentazioni fornite dalla senatrice Segre non siano affatto rigorose, ma guidate piuttosto da un bias cognitivo.
Qualche giorno fa ho partecipato alla proiezione del documentario “Izkor: Schiavi della Memoria” del 1991 creato dal regista israeliano Eyal Sivan, che mostra come il sistema educativo israeliano si concentri sin dalle elementari sulla memoria del male subìto ma si dimentichi di raccontare il male perpetrato. Questo crea un cortocircuito nella percezione del sé che induce alla difficoltà di vedersi come i “cattivi” della storia, poiché educati da sempre a vedersi unicamente come vittime. E le vittime per definizione non hanno responsabilità.
Questo approccio sembra riflettersi anche in Europa, dove il senso di colpa storico per la Shoah rende difficile criticare Israele senza timore di essere accusati di antisemitismo. Eppure, proprio per difendere la memoria e il significato profondo di termini come “antisemitismo”, è fondamentale proteggerne il senso originale: l’odio verso gli ebrei, e non la critica legittima delle politiche di uno Stato.
Se non riusciamo a separare queste due cose in maniera netta, sara sempre più difficile usare termini come “genocidio” quando appropriati, senza piegarsi a pressioni ideologiche o, come detto sopra, ad autocensure.
Anche perché questo esercizio di riduzione (da genocidio a massacro, da antisemitismo ad anti israele) sta creando un pericoloso svuotamento di senso delle parole che metterà sempre più in pericolo le comunità ebraiche in tutto il mondo.
Moshe Yaalon, ex ministro della Difesa israeliano, ha appena ammesso che Israele sta operando una pulizia etnica: https://www.ilpost.it/2024/12/02/yaalon-ministro-difesa-israele-pulizia-etnica/
Il giudizio relativo a quanto sia ideologico o meno un ragionamento dipende appunto dalla cultura e dalle conoscenze sul tema. A me sembra parecchio ideologico il suo e quello della Segre, però qui appunto si entra nel campo della bibliografia e non voglio essere pedante o usufruire del suo spazio, d’altronde su una cosa siamo più che d’accordo, i compagni li mal sopporto anche io, essendo campioni di ideologia e settarismo (e dalla bibliografia non troppo varia nonostante passino per grandi intellettuali). Mi stia bene.
Bene, revoco l’accusa, ma lei non faccia come facevano i compagni che zittivano la ragionevolezza delle opinioni, contrarie alle loro, per mancata conoscenza della bibliografia. E’ vero, io saprei distinguere un’infarinatura da un sapere vero, ma anche un ragionamento intelligente e motivato da uno diligente, ricco di nozioni, ma sostanzialmente ideologico.
Ma no, non è questione di essere settari, è questione che se lei è esperto di filologia romanza io non reggerei mezzo minuto di dibattito con lei. Mi pare naturale. Poi posso anche correre su wikipedia a cercare le prime nozioni, ma lei se ne renderebbe conto dopo mezzo minuto appunto, e questo non farebbe di lei un settario. Lei questo lo sa benissimo, ma non capisco perché sospenda il giudizio e soprattutto il metodo nel caso della Segre. La prego di non attribuirmi alcuna volontà di censura nei confronti della Segre.
Ecco Mencken, questo è il metodo tipico dei settari: “Taci tu che sei ignorante”. Sto convintamente dalla parte della Segre.
Il problema, Maninchedda, è che la Segre non reggerebbe mezzo minuto di confronto con Ilan Pappè, Avi Shlaim e vari altri esponenti della nuova storiografia israeliana, non reggerebbe mezzo minuto con giornalisti come Max Bluementhal, saggisti come Norman Finkelstein, studiosi (e consulenti di fama) come Jeffrey Sachs, politologi come John Mearsheimer e tanti altri che la questione la conoscono lievemente meglio. Ma non per altro, essere sopravvissuti a una tragedia 80 anni fa non rende nessuno particolarmente edotto rispetto a ciò che succede in una terra lontana 80 anni dopo, a meno che non si pensi che l’opinione della Segre valga qualcosa più di chiunque ne parli al bar, solo perché ebrea e sopravvissuta all’Olocausto. Mi auguro non sia questo la logica sottostante. Perché a conti fatti, la Segre non sa nulla di particolare, non è una giornalista sul campo, non è una studiosa della questione palestinese, e così a occhio ha pure qualche problemino con le definizioni e il diritto internazionale.
Dottore, non si può parlare di crimini di guerra, tantomeno di genocidio. E non se ne può parlare giacché in un ipotetico processo vincerebbe Israele. È perché? Le truppe di Hamas non sono truppe regolari, ma franche.
Saluti
La popolazione di Gaza dal 7 ottobre 2023 in poi è aumentata del 2,02% (in Sardegna cala anche senza guerra). La guerra è una cosa terribile, ed è terribile che in Sardegna e in occidente ci siano ancora persone ingannate da una propaganda anti Israele di chiaro stampo diabolico.
Dopo la strage inumana del 7 ottobre, Israele si è trovato a combattere un nemico che, pur di colpire Israele, anche mediaticamente al fine di isolarlo dalle Nazioni, non si faceva scrupoli a sacrificare i suoi stessi concittadini di Gaza, nascondendo armi e loro stessi in mezzo a scuole, ospedali e campi profughi, in modo da far apparire Israele come il cattivo.
Un opera davvero diabolica. Ricordo poi che la Bibbia stessa, la parola di Dio, dichiara che chi benedice Israele è benedetto e chi lo maledice è maledetto. Pace a Gerusalemme.
L’altro giorno riguardavo su Netflix una serie sul conflitto tra terroristi palestinesi e Israele. A un certo punto uno dei terroristi spiega di stare pianificando un attentato di proporzioni tali da rendere inevitabile una risposta in grande scala da parte di Israele.
Bombardamenti. Discredito sullo stato israeliano in ragione della feroce repressione. Destabilizzazione dell’intera regione. A un certo punto un altro terrorista gli fa notare che il tutto avrebbe comportato numerosissime vittime anche tra i cittadini palestinesi. La risposta è stata che era il giusto prezzo da pagare.
Fiction di qualche anno fa. Mancava solo il riferimento al boicottaggio degli accordi di Abramo e tutto sarebbe coinciso.
Fa pensare sul modo di ragionare di certa gente.
Vorrei avere le sue rocciose certezze. Il gruppo terroristico di cui lei parla ha posto le sue basi logistiche e operative sempre in quartieri densamente popolati e spesso sotto scuole, ospedali e quant’altro. Io non avrei mai la forza di distruggere un ospedale per colpirvi il comando militare sottostante, ma io non sono un tattico militare. Come fa lei a citare l’Iran e il Libano come paesi sovrani e a non citare che proprio l’Iran ha intaccato la sovranità del Libano con studiati omicidi politici, oggi del tutto dimenticati, che hanno portato metà del territorio di quel paese ad essere amministrato da Hesbollah? Come fa a ignorare che l’Iran è il finanziatore di Hamas e di Hesbollah? No, non concordo con Lei, Israele non è colpevole di genocidio; è colpevole di crimini di guerra, non da solo, ma lo è.
Stimato Professore, proprio le due fattispecie citate (pianificazione dell’eliminazione di una etnia o gruppo sociale e assenza di guerra) indurrebbero ad una conclusione diametralmente opposta a quella sostenuta nel suo articolo.
Cosa possono essere, se non il tentativo di eliminare il popolo palestinese, i bombardamenti massicci in zone densamente popolate, la distruzione sistematica di ospedali, scuole, università, infrastrutture civili, la negazione di aiuti umanitari (cibo ed acqua)?
Come può essere definita la continua espansione in territori, case, campi coltivati in cui risiedono i Palestinesi, da parte di coloni appoggiati, se non coadiuvati, dall’esercito israeliano?
E dove sarebbe la guerra, nel senso moderno del termine, tra due entità con dignità statuale?
Un gruppo terroristico (Hamas) ha commesso crimini odiosi, ed una strage di innocenti tra le più efferate che si ricordino, ma la guerra è un’altra cosa.
In realtà è stata proprio Israele a voler invano scatenare un conflitto tra Paesi, e quindi una guerra, violando con bombardamenti (e trucidando civili innocenti) in territori di Paesi sovrani come Iran e Libano.
Ai miei occhi, e credo a quelli di molti altri, Israele è oggi uno “Stato canaglia”, colpevole di genocidio, a cui l’Occidente e l’intera Comunità Internazionale, per ragioni economiche e per un malinteso senso di colpa, sta consentendo atti che in altre situazioni hanno avuto ben altre reazioni.
Io, invece, penso che abbia fatto molto bene a parlare.
Professore non sono esperto ma nel 1948 si decise di fare due stati uno Israele e l’altro la Palestina come mai Israele è stato fatto e la Palestina no
I nazisti, come diritto di rappresaglia previsto nel loro codice di guerra, applicavano il rapporto 10 a 1 ( vedi via Rasella). Israele, ad oggi, ha applicato il rapporto 50 ad 1 sui palestinesi.
La Segre ha forse una visione parziale del problema anche perché una cosa non esclude l’altra anzi è un’aggravante.
Cosa definisce un genocidio?
Si tratta di un termine molto specifico, che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli. I Diritti Umani, così come stabilito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazione Unite del 1948, riguardano i diritti fondamentali degli individui.
Sarei d’accordo se a dirlo non fosse la Segre.
Il motivo?
Sembra quasi che gli ebrei siano gli unici che possano accampare il “diritto” di avere subito un genocidio.
La Segre ha ragione come può avere ragione un asettico vocabolario Treccani, ma questo suo sottilizzare sui diversi significati di crimine di guerra e genocidio, sembra che alla fine si concluda con un “noi ebrei abbiamo sofferto più di voi”.
Dalla Segre avrei preferito il silenzio e casomai avrei affidato la dotta disquisizione sui significati a una persona più neutrale e credibile.
Ma questo è un giusto modo di ragionare! Sono d’accordo. La politica di Netanyahu è insopportabile e anche la formula delle due nazioni in due stati, che sembra essere la soluzione, necessita di un rapporto paritetico che è inesistente. La questione palestinese è destabilizzante per tutto il Medio Oriente, e si intreccia con conflitti religiosi e con confini reali diversi da quelli ufficiali. Pochi ricordano il massacro dei palestinesi operato dalle forze del re di Giordania nel settembre del 1970, che invece andrebbe analizzato come tragicissimo episodio dovuto al fatto che la residenza di un popolo dentro un altro Stato è inevitabilmente un fattore avvertito come eversivo. Ciò significa che il problema palestinese non è il problema di Israele, ma anche della Siria, del Libano, della Giordania, di quel che resta dell’Iraq, dell’Arabia Saudita e dell’Egitto. È il Medio oriente intero che deve fare spazio allo stato palestinese e deve farlo con la forza della politica non con il terrorismo di matrice iraniana che ha portato Hamas a questa sanguinaria e politicamente inutile avventura.
In su pagu chi cumprendho deo, cundivido in prenu s’anàlisi de Liliana Segre e su chi depimus cumprèndhere est meda meda prus grave de sa gherra in su Médiu Oriente e in s’Europa (tantu pro no ndhe fontomare àteras) ca s’economia dominante e civiltade chi connoschimus (nàmuli ancora civiltade mentre chi meritat tìtulu de barbaridade e barbarismu) est de gherra preparendhe, sempre faghindhe e pro fàghere, de irrichimentu a bìnchere, isfrutare e dominare sos àteros e sa fita prus manna de su mundhu cantu sisiat chi costet, criminale e antiumana, consumìstica isperditziera e muntonarzera a distruimentu de donzi logu, a irvilupu macu irbariadu, faghindhe unu mundhu arsenale sempre prus prenu de armamentos e ammuntonamentu de sos dinari de ispèndhere fintzas in machines e àteros crìmines contr’a s’umanidade in ‘paghe’ e in gherra!
Mi dimandho a ite bi est s’ONU, si a pantàsima e fàghere su cronista e notàriu de sos leones o tènnere una funtzione e fortza chi assumancu chirchet de incarrerare su mundhu ‘bidha’ a una civiltade prus de paghe e coperatzione e impedire, evitare, nessi sas gherras tra istados.
Genocidio è un termine che entra nella storia per ragioni giuridiche durante il processo di Norimberga.
Non vigendo norma per un reato così “insolito” si pensò in termini di ECCEZIONE. E questo è possibile se la volontà che si impone è quella dei vincitori.
Per Israele si è al cospetto di una fatticita’ (non mi viene in n soccorso altro termine); in una situazione di guerra perenne lo strumento è quello militare.
Epperò vi è anche una volontà più profonda e che sfugge alle nominazioni di comodo:
Quella della grande Israele
Quella della espulsione dell’elemento Palestinese dai territori della Cisgiordania e di Gaza.
Una fatticita’ ecco