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Come difendersi dal tipo Boeri

Posted on 19 Luglio 202519 Luglio 2025 By Paolo Maninchedda 5 commenti su Come difendersi dal tipo Boeri

Chi è stato amministratore pubblico sa che il “tipo Boeri” è un problema.
Non intendo parlare dell’architetto Stefano Boeri, con il quale ho parlato due volte, peraltro fuggevolmente, e che non conosco di persona.
Mi preme invece ragionare, con chi fa politica e si occupa di amministrazione pubblica, di come tenere i rapporti con i professionisti colti, dotati di ingegno e di capacità avanzate di rappresentazione, di prestigio e di relazioni, cioè con quel “tipo” Boeri (probabilmente distante mille miglia dalla realtà) tratteggiato dall’inchiesta milanese la quale, sia detto tra le righe, sprizza anche antipatia gratuita e pregiudiziale verso il celebre architetto.

Prima di tutto bisogna fare opportune distinzioni.
Vi sono professionisti con queste caratteristiche che non chiedono nulla e che anzi, quando un loro amico ha ruoli pubblici, se ne allontanano per non metterlo in imbarazzo. Sono rari, ma esistono e io ne ho conosciuti.
Queste sono persone preziose e che non generano problemi. Stanno tendenzialmente a distanza dagli incarichi pubblici o, se concorrono a qualche bando, lo fanno in silenzio senza scomodare nessuno.

Vi sono invece i mostruosamente competenti che lentamente aderiscono alla suggestione interiore di essere dei visionari, di essere dei nuovi Tesla o dei nuovi Fermi che aprono inediti orizzonti all’umanità.
Questi, per gli amministratori pubblici sono come la peste, per diversi ordini di motivi.
In primo luogo sono verbosi e imprudenti.
Parlano da vati, parlano come oracoli, semplificano la realtà e i rapporti, intrecciano le loro convinzioni con gli obblighi pubblici e sembrano fatti apposta per confondere le idee ai membri della polizia giudiziaria, i quali, ascoltandoli nelle intercettazioni, possono dedurne di trovarsi di fronte non a chiacchieroni magari troppo convinti di sé, ma a eredi laureati di Al Capone, che decidono impunemente per sé e per gli altri.
La psicologia è tutto in un investigatore, ma senza basi culturali è facile fraintendere le maschere con le persone reali giungendo a fare un enorme casino (oggi descritto benissimo da Giuliano Ferrara e da Antonio Di Pietro sul Foglio). Insomma, ad ascoltare un progettista-vate (poco importa che lo sia davvero, l’importante è che così venga percepito) e ad accoglierne il punto di vista, si cade come polli in un mondo che non c’è percependolo invece come un vasto disegno criminoso.

In secondo luogo, più un progettista è capace più sta sul naso, tendenzialmente, ai dirigenti pubblici che, sin dal primo incontro, si corazzano dietro il warning interiore della celebre frase: “Tu non mi fotti a chiacchiere”.
Per il dirigente pubblico standard, il progettista è un esecutore di una volontà pubblica, non un creativo. Se nel consiglio comunale è emersa la volontà di fare un capannone e un genio dimostra che questa sarebbe una solennissima minchiata e che forse sarebbe meglio fare un parco, nella testa del dirigente della Pubblica Amministrazione il genio è un sovvertitore dell’ordine pubblico. Non che non sia corretto pretendere che ciò che si esegue sia conforme al deliberato, tuttavia, ritenere eversiva ogni azione che proponga alternative al deliberato è quanto meno schematico.
L’amministratore pubblico deve essere sempre avvertito che tra i dirigenti della pubblica amministrazione e i progettisti creativi esiste una disamistade irrisolvibile dalla quale ci si può difendere solo in un modo: ponendosi al di sopra di entrambi e costringendo tutti a esplicitare in atti le proprie posizioni.
A questo punto, il genio, che magari frequenta gli stessi ambienti dell’amministratore pubblico, cercherà con lui un contatto diretto e bisognerà cortesemente mandarlo al diavolo  (diversamente il finanziere della polizia giudiziaria, con i suoi meccanismi a transistor on-off, iscriverà tra i corrotti l’amministratore che risponde educatamente al genio), facendolo poi sapere al dirigente. Solo così la dialettica tra metodo e visione può incardinarsi nella certezza del diritto e solo così la polizia giudiziaria può trovare in atti le smentite ai suoi fantasmi.

In terzo e ultimo luogo, l’amministratore pubblico deve sapere che nella storia vi è sempre stato chi fa le cose non per convinzione, ma perché c’è lo spazio per farle.
A Milano, per esempio, è chiaro che la modernizzazione introdotta da Sala, il tentativo di snellire le procedure, di attrarre abitanti e abitanti ricchi, di pulire la città dal degrado, di renderla competitiva con le metropoli del mondo, sono stati tutti fattori che hanno lasciato libero lo spazio di chi vede, invece, in tutto questo nient’altro che consumo del territorio, prepotenza e privilegio dei super-ricchi, aumento dell’alienazione ecc. ecc.; questo è spazio politico in democrazia, cioè occasione per cambiare chi esercita il potere. Dentro questo spazio politico convivono tutti i competitor di Sala, accomunati dal non essere riformisti, ma estremisti. Si va dalla destra di La Russa al movimentismo casinista-cashmerista di Fratoianni, ma anche al disegno della magistratura di impedire qualsiasi riforma la riguardi. Ecco, un amministratore pubblico che voglia attuare riforme non deve mai esplicitare fino in fondo la grandezza del suo disegno, perché diversamente favorisce il coagulo degli interessi e delle invidie. Sala è stato infilzato per la grandezza del disegno e per l’antipatia generata dai vati. Gulliver è stato legato.

Amministrazione, Politica, Vetrina

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Comments (5) on “Come difendersi dal tipo Boeri”

  1. Eddie Irvine ha detto:
    20 Luglio 2025 alle 22:28

    Il problema, a mio avviso, non sono “i tipi alla Boeri”, ma la commistione, da un lato, tra i ceti professionali auto-riferiti (e che trovano in una certa parte politica una sponda sicura, come dimostra il caso di Milano) che vedono nella committenza pubblica il loro core business, e, dall’altro, la classe politica che svolge il proprio mandato con spirito di appartenenza al comitato d’affari cui è chiamato a rispondere, che per brevità chiameremo “partito” (eventualmente si può aggiungere un aggettivo), operando, nel migliore dei casi, come stanza di compensazione tra interessi diversi (sempre per brevità, portiamo a sintesi col prinicpio “noi diamo a voi, e voi date a noi”), o nel peggiore dei casi, come motore della filiera politico-economica di cui l’amministratore pubblico (ossia l’assessore di turno, poco importa se regionale o comunale) è espressione.

    Vista la differenza di colore politico, ho sempre pensato che il caso della “riqulificazione” della via Roma di Cagliari sia un esempio plastico del “migliore dei casi” di cui sopra.

    Ma al di là del caso specifico, che comunque puzza di malaffare da chilometri, il meccanismo regolatore di questi affaristi risiede nella spartizione della res publica da parte dello stesso clan, che sia a livello statale sia nelle articolazioni territoriali, ha la stessa identica matrice politica.
    Indovinate quale.

  2. luca ha detto:
    19 Luglio 2025 alle 21:17

    Caro Prof., dimostri di avere lucidità competenza anche guardando oltre i nostri confini,lo dico senza nessuna retorica : non è facile ne scontato. Complimenti.

  3. Francesco Porcu ha detto:
    19 Luglio 2025 alle 14:06

    Concordo:analisi lucida e corrispondente alla realtà….purtroppo

  4. Marco Casu ha detto:
    19 Luglio 2025 alle 13:20

    Troppo attori sul piano della decisione. E il “politico” cosa ci sta a fare? Non e’ forse lui l’origine di cio’ che e’ Volonta’ istituzionale?

    E’ ovvio pensare (e non solo) che abbiamo a che fare con operatori elettorali che sono , oltre che mediocri, spaventosamente ignoranti e li, il tipo “Boeri” prospera e mette radici.
    In passato , in tutta la Storia, il “Politico” e’ esistito e l’Architettura ne e’ un sostanziale indizio; oggi, non e’ piu’ cosi’ e il PostModerno ha prodotto le bestie piu’ immonde.

    Ci vorrebbe un Ivan il Terribile per questi miserabili Boiari .

    P.s

  5. ginick ha detto:
    19 Luglio 2025 alle 11:06

    Egr: Prof.
    ottima analisi del tipo Boeri. Ma il problema è che di Boeri ce ne sono tanti quanto le dita di una mano, max due, e in Italia, solo di comuni , ce ne sono oltre ottomila A ciò aggiungasi Regioni Asl ed una miriade di Enti vari, tutti che progettano e vorrebbero lavorare con Boeri, ma di questi ce ne vorrebbero migliaia! Ed allora? Ci si rivolge ad uno dei molti professionisti che, esclusi, ahimè, i sempre rari casi da Lei descritti, gravitano nel mondo politico, chiedendo incarichi da avere assegnati, sovente entrandone a far parte ,prestandosi a candidature ora in questo ,ora in quel gruppo, come solo una banderuola riesce a far meglio! In questi casi ,appare lapalissiano , che anche il meno esperto in psicologia comportamentale, a forza di avere a che fare con tante fumose situazioni è portato a ritenere che i pochi corretti siano dei massificati prezzolati a cui i politici di bassa lega, solo il Cielo sa quanti essi siano, si rivolgono per assecondare le richieste provenienti dai loro sostenitori elettorali o anche, nei piccoli centri, di familiari di 2° o 3° grado con i quali è sempre facile recuperare remunerativi accordi:!
    E così trovano facile esca gli errori degli investigatori che, avendo sperimentato in innumerevoli casi, sovente neanche riportatati dalle cronache, quanto sia diffusa la connivenza tra politici e progettisti, fanno di tutte le erbe un fascio, col detto assai diffuso fra loro: TANTO SONO TUTTI UGUALI!
    Ecco perchè, in conclusione, a mio giudizio, occorre essere sempre garantisti, finchè Cassazione non si pronunci!!
    Cordiali saluti.

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