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Ci stiamo suicidando?

Posted on 1 Luglio 20251 Luglio 2025 By Paolo Maninchedda 14 commenti su Ci stiamo suicidando?

Riporto integralmente l’omelia dell’arcivescovo di Torino, il cardinale Repole (che ha amici in Sardegna, guarda caso, tra i preti emarginati), in occasione della festa di S. Giovanni, la quale ha suscitato un certo disappunto e sconcerto nel capitalismo italiano (ma più nella minoranza ricca e parassitaria dell’Italia).
Lo faccio perché tocca temi cruciali, perché contesta l’organizzazione economica di questo mondo e rivela che viviamo nella paura perché pretendiamo di avere tutto sotto controllo.
Io stesso sono figlio di questa indisponibilità a accettare che non possiamo dominare interamente quello che ci accade, anche perché il bello e il buono spesso è proprio l’inatteso (nessuno attende di essere amato e per questo abbiamo ucciso Dio. Tra i miei studenti Gesù è percepito né più né meno come un mito pagano dell’antichità, come Orfeo se non come Marte).
Trovate l’omelia qui  , ma per comodità dei lettori la riporto tal quale di seguito.

Omelia del cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, alla Messa nella solennità di San Giovanni Battista, patrono di Torino
Cattedrale di Torino, 24 giugno 2025

RIFERIMENTI BIBLICI: Prima Lettura: Is 49, 1-6 Salmo responsoriale: Sal 138 (139) Seconda Lettura: 13, 22-26 Vangelo: Lc 1, 57-66.80

Nel riportare la notizia della natività di Giovanni il Battista, l’evangelista Luca non spende molte parole. Gliene bastano pochissime. Liquida la questione in un solo versetto.
Sembra decisamente più interessato a rilevare quali siano i sentimenti e le reazioni di chi fa i conti con l’assolutamente inedito di quella nascita: gli astanti, i parenti, i vicini. Quasi a dirci che la natività di Giovanni come quella di ogni cucciolo d’uomo avviene solo laddove si crei uno spazio di attesa, di accoglienza calda, di apertura fattiva alla novità imprevedibile che ogni nuovo nato rappresenta e porta con sé. Quasi a dire che non ci può essere sopravvivenza di nessun infante se non c’è riconoscimento, cura e presa in carico da parte del mondo degli adulti. Quasi a rimarcare ciò che non avrebbe neppure bisogno di essere rimarcato, tanto è inscritto nelle fibre del nostro essere, ma che può essere oscurato ad ogni generazione dal peccato degli uomini, quello che Bonhoeffer descrive in maniera lucida come il cor in se curvum: che, cioè, la vita umana, perché si dia e ci sia, perché cresca e perché si esprima, domanda che qualcuno vi si chini sopra benevolmente, vi si accosti con meraviglia, la accolga con senso di responsabilità, con attesa indifesa e con la decisione ferma e tenace di mettere a disposizione ad ogni passo tutto ciò che quella vita richiede per essere custodita, protetta, alimentata, fatta crescere, educata.
Quasi a dire, in definitiva, che solo se ci sono donne e uomini adulti capaci di non avere paura e di accogliere la libertà inedita che ogni nuovo nato rappresenta, solo allora può esserci davvero e fino in fondo la nascita e la presa in carico di un nuovo essere umano.
Forse per questo Luca è così spiccio nell’annotare la natività del Battista, mentre si sofferma più a lungo a rimarcare il senso di gratitudine e di profonda gioia che essa inietta attorno a sé. Una gratitudine e una gioia tanto più intense quanto più esprimono il riconoscimento della straordinarietà di quella nascita: Giovanni è infatti il frutto dell’attenzione e della misericordia di Dio verso il suo popolo.
Non solo. L’evangelista riassume tutta la fanciullezza del Battista con parole altamente simboliche. Il fanciullo cresce e si fortifica nello spirito, abitando regioni desertiche, luoghi cioè che per lungo tempo lo rendono invisibile agli occhi dei più. Ma questo tempo non è infinito. Arriva il giorno in cui si manifesta davanti a Israele. Il verbo, nel testo greco originale, è molto significativo: indica il momento del manifestarsi, ma anche del prendere il proprio compito, dell’assumere la propria funzione pubblica.
Se letta con superficialità, questa pagina di Vangelo potrebbe essere rubricata a mero resoconto storico, in fondo anche molto distante da quella che è la cronaca della nostra città di Torino e dalle sfide che essa si trova a vivere oggi. Quando la si accosti invece nella sua profondità, ci si rende conto che essa non solo è uno squarcio di luce su un fenomeno così misterioso come il nascere di una nuova vita umana, ma è un faro acceso su alcune delle contraddizioni più profonde della nostra amata città.
La notizia durissima di questi giorni è infatti che a Torino il calo demografico sta svuotando le scuole, ormai anche le superiori: l’anno prossimo le scuole della città avranno 1.147 allievi in meno (senza considerare il calo aggiuntivo negli asili); a livello piemontese saranno 7.300 in meno. Sempre meno bambini “crescono, si fortificano” a Torino e si preparano ad essere gli adulti di domani.
Siamo alle prese con un fallimento culturale epocale. Stupido che sia stato sempre deriso e snobbato, considerato bigotto o di destra, l’insegnamento della Chiesa a sostegno della maternità. Miope che per sostenere, com’è necessario, i diritti fondamentali delle donne siano stati presentati come antitetici al bisogno sociale di natalità. Triste e molto inquietante, per la tenuta stessa della democrazia, che il termine “pro vita” sia ormai diventato quasi un insulto da affibbiare ai movimenti che pongono il problema della natalità: scritte violente e insultanti sono comparse ancora pochi mesi fa sui muri di Torino. Essere pro vita sembra una cosa medioevale; invece essere pro morte (combattere per l’eutanasia) suona moderno. Ci stiamo suicidando.
A determinare tutto ciò c’è il concorso massiccio di un iperliberismo che sta trasformando il lavoro in una merce disprezzabile: c’è il problema delle aziende che spostano la produzione lontano dalla città, mentre qui a Torino il 75% dei giovani (quelli che restano) trova solo più lavori precari, contratti di pochi mesi o addirittura giorni. Come pretendiamo che mettano su famiglia e facciano figli? Forse è lo stesso iperliberismo che porta ad un fenomeno tutto torinese di immobilizzazione del denaro accumulato dai grandi proprietari di patrimoni, che preferiscono tenerlo nelle banche, in quantità immense, piuttosto che investirlo nel circuito delle imprese e nello sviluppo dell’economia reale. Non si può certo pretendere che i proprietari di patrimoni investano senza prospettive di reddito adeguato. Ma allora bisogna convincerli, bisogna portarli dalla parte della città. Il problema è una città che non riesce a convincerli. Torino ha immense sacche di povertà ma paradossalmente è anche la terza città d’Italia per numero di famiglie benestanti, che l’anno scorso hanno incrementato i patrimoni privati di un altro +6%: 76 miliardi di euro sono chiusi nelle banche.
Per non dire che c’è il problema di valutare una buona volta se i nostri sistemi di welfare siano tutti efficienti come amiamo credere. Rispetto alle famiglie giovani funzionano? Come mai nei Paesi del Nord Europa (o anche più vicino: nella provincia di Bolzano) i servizi di welfare ottengono che le donne lavorino con soddisfazione e le nascite non calino?
Per Torino non c’è emergenza più grande di questa, dei bambini e dei giovani. Sappiamo che nel prossimo futuro, senza giovani, sarà difficile mandare avanti la città e per esempio sarà difficile pagare le pensioni agli anziani. Ma attenzione: i giovani non sono contrapposti agli anziani, è vero l’esatto contrario. Solo curando con ogni premura i nostri anziani, solo investendo nell’assistenza dei malati, noi dichiariamo alle famiglie che in questa società conviene vivere e avere figli che saranno trattati con amore in ogni passaggio della loro vita. Così come dichiariamo che conviene vivere quando siamo capaci di trattenere i già pochi giovani che prepariamo all’università, magari provenienti da altrove, mentre dobbiamo dolorosamente constatare che tanti di questi giovani si laureano e poi ci abbandonano, vanno a cercare lavoro in altre città.
Perché tutto questo? Perché in altre parti del mondo ben più povere di noi l’apertura alla vita, ai bambini, ai giovani continua ad essere normale, mentre da noi è il problema per eccellenza?
È qui che il Vangelo continua a illuminare. Il problema è principalmente culturale. Non è difficile vedere come alla radice dei diversi fenomeni che ho provato a inanellare ci sia un modo di rapportarsi all’esistenza fatto di dominio, di controllo totale della realtà, di crescente manipolazione di tutta la vita, in tutte le sue dimensioni. Ci possiamo illudere che questa modalità di approccio al reale – che in certa parte è necessaria e pure legittima – ci porti alla piena illuminazione di tutto. Dobbiamo riconoscere che ci fa sprofondare, invece, nelle tenebre più fitte. Ci porta a trattare paradossalmente ciò che è all’origine di ogni possibilità di dominio e di controllo, e cioè la vita, come qualcosa da temere, di cui avere paura. Con un tale approccio, la novità e la libertà di una nuova esistenza non può che rappresentare una minaccia, invece che un motivo di gratitudine e di gioia. Con un tale approccio, la responsabilità, l’attenzione e la cura che ogni nuovo nato richiede – con il decentramento che tutto ciò domanda – finiscono per rappresentare un ostacolo invece che una benedizione.
Abbiamo la possibilità di vedere fino in fondo le nostre contraddizioni. Abbiamo la possibilità di cambiare rotta. Il Vangelo continua ad essere anche per noi, a Torino, qualcosa di nuovo e di rinnovatore. Possiamo smettere di avere paura della libertà che ogni nuovo essere umano rappresenta. Possiamo cominciare a vedere davvero e fino in fondo i bambini che crescono nel deserto, lontano dai riflettori, ma che come Giovanni Battista sono il futuro. Un giorno questi bambini diventeranno adulti e si manifesteranno, assumeranno la loro funzione. Possiamo cominciare a chiederci: quale volto avranno? chi stiamo crescendo?
Soprattutto, noi adulti ed anziani che abbiamo in mano le redini della Chiesa, della politica e dell’economia – ognuno per la sua parte – possiamo ridiventare intelligenti in modo pieno e compiere sempre ogni scelta, in ogni contesto, nella prospettiva dei bambini che stanno preparandosi alla vita, che domani si manifesteranno e prenderanno il loro posto e la loro funzione.
Perché da quel posto e da quella loro funzione, domani ci giudicheranno.

Società, Vetrina

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Comments (14) on “Ci stiamo suicidando?”

  1. Mike ha detto:
    4 Luglio 2025 alle 21:29

    Ho letto con profondo interesse l’omelia del Cardinale, per certi versi mi ricorda i momenti di attesa della nascita della propria prole; certo il momento della nascita si evolve in un attimo, quello che conta è il percorso, l’impegno e l’accompagnamento alla vita della propria prole. Che dire Professore, la sua domanda dice già tutto sugli accadimenti che si stanno verificando. L’incipit della riflessione”Ci stiamo suicidando?” Piccolo preambolo prima della mia risposta alla sua legittima domanda. Il Tar ritiene illegittimo il presidio Pro-Vita nel punto aborto di un ospedale di Torino; l’obiettivo di detto presidio sarebbe stato quello di sviscerare/ragionare sui motivi della scelta di abortire e, perché no, recedere da tale intendimento; quindi applicare tutte le regole previste sia di sostegno sia di accompagnamento in applicazione “vera” della legge. Le femministe e la cgil si intestano la vittoria e, festeggiando tale sentenza dichiarano che aborto sia senza se e senza ma….a prescindere dai ragionamenti sul calo demografico e sulle vite umane “a-bor-ti-te” …..la mia risposta alla sua domanda è: Si, ci stiamo suicidando!

  2. Gioele ha detto:
    4 Luglio 2025 alle 19:18

    Il Vangelo nella nostra vita. Le parole che non sappiamo ascoltare, perché ci turbano profondamente. Preferiamo pensare che sono tradizione e così ce ne andiamo sordi in un mondo di sordi e ciechi, sempre più incapace di prendere posizione e di fare quel poco di bene che può.
    Non di tutti è l’azione coraggiosa, molti sono Don Abbondio che se non ha coraggio non se lo può dare, ma pure quelle parole ci interrogano, cristiani e non cristiani.

  3. Antonio Pinna ha detto:
    3 Luglio 2025 alle 13:05

    Ecco. Questo. Io rafforzerei l’aspetto culturale ed il cambiamento che il nostro, ed il mio, perbenismo sinistroide ha provocato. In me per primo. Ci sarebbe da fare un discorso sulla tutela delle minoranze un po’ articolato e complesso, di linguaggio e uso comune, ma ho una paura matta ad utilizzare le parole per auto accusarmi di ciò che non sono. Purtroppo ci concentriamo sulla pagliuzza, per stare in tema. La conferma alla mia impressione è il primo commento a questo articolo di Massimo al quale rispondo alla Di Pietro: che c’azzecca?? Proprio questo intendeva dire il Vescovo di Torino: “Quasi a rimarcare ciò che non avrebbe neppure bisogno di essere rimarcato, tanto è inscritto nelle fibre del nostro essere”. E proprio questo è quello che provo ogni volta che si parla di minoranze di qualsiasi tipo e genere. Cose ovvie per me, prioritarie se vogliamo, ma non esclusive. Non sono gli unici argomenti che devo tutelare con il mio attivismo. Il mondo è cambiato, le esigenze sono cambiate, siamo culturalmente diversi. E’ ovvio che Bressanello o chi per lui faccia un’opera meritoria per i vivi, ma non devo dirlo sempre e su ogni argomento. Possiamo occuparci anche di altri problemi?

  4. Maria MA ha detto:
    2 Luglio 2025 alle 10:38

    Grazie per questa riflessione che ci pone di fronte all’urgenza di guardare cosa sta succedendo: parla di Torino ma anche delle nostre realtà e di molte parti del mondo moderno. Parla delle grandi cose, ma anche delle piccole che poi sono quelle che costruiscono le grandi: ogni singola vita, ogni bambino. Bellissime quelle parole all’inizio e alla fine sulla cura e la responsabilità verso i piccoli. Cosa stiamo facendo per accompagnarli nella vita adulta? Quali esempi, quali strumenti e ancor più valori gli stiamo dando, a livello personale e sociale? Speranza, coraggio, fiducia, altruismo, impegno e collaborazione… O purtroppo solo telefoni, “divertimento” e falsi ideali (“puoi essere tutto quello che vuoi”) che portano come contraccolpo ansie e paure.
    Il problema è già il presente,

  5. Mario Pudhu ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 22:35

    Salude, Milena! E salude a totugantos!
    Isperàntzia…
    Sa VIDA umana est in su matessi tempus ISPERÁNTZIA, FIDE e CARIDADE (charitas, pro no cufùndhere cun “amore” chi est fintzas tot’àteru e inderetura su contràriu). E fintzas su kamikaze assurdu, isperat in carchi cosa, cret in carchi cosa e no est possìbbile chi no cherzat bene e no fetat bene a neune. E si narat fintzas chi s’isperàntzia est s’ùrtima a mòrrere, che a sa vida.
    S’àteru est morte., “omicidio” o “suicidio”.
    Su bellu est a cumprèndhere proite e pro ite. E comente.

  6. Milena ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 21:58

    Gentilissimo signor Mario, la ringrazio per la sua cortese risposta. La nostra società non ha bisogno di fare radicali cambiamenti, ma di accogliere quelli in atto. Un sistema che sia rigido nelle tradizioni, nei ruoli e persino nelle parole è destinato a morire. Ma non manca la speranza….manca chi la speranza la sappia accogliere, coltivare, premiare.

  7. Mario Pudhu ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 19:01

    @Milena
    Poto cumprèndhere chi no apat mai pessadu, e ne proite, a si fàghere a preìderu issa e mancu a monza e ne proite.
    Ma candho de preìderos e de monzas bi ndhe aiat medas prus de oe at bidu fossis chi de fizos ndhe naschiat prus pagos de como?
    Su chi narat “fonte” de sa préiga, unu preìderu, segundhu issa faghet fossis sa “professione” de fàghere fizos e però isse no ndhe faghet?
    Su chi est in discussione in custa chistione est totu àtera cosa: est una inciviltade e economia de gherra chi cheret sas pessones che màchinas a triballare, chi no cheret minores a pesu e istrobbu pro bìnchere sa gherra cummerciale, ca cheret pessones mannas che màchinas PRONTE PER L’USO e no disturbendhe faghindhe e pesendhe nessi carchi fizu!
    E si poi leamus sa realtade ancora peus de sos Sardos (in Sardigna sa “natalità” est sa prus bassa de s’Europa) amus pérdidu fintzas s’isperàntzia de fàghere fizos, comente nos sunt faghindhe pèrdere s’isperàntzia de che pòdere sighire a campare sos pagos chi semus in logu nostru ricu cantu est de benes! E si sa prima curpa la tenet una economia dominante e cunditzione de dipendhéntzia politica (no fimus a oe a èssere chentza guvernu cun d-una R.A.S. iscominigada de candho l’ant nàschida!) ateretantu la tenent sos ‘politici’ DI OGNI RISMA E DI OGNI CONIO a cretinismu tricolore chi fintzas de cuss’aurtinzu de autonomia ndhe ant fatu cosa de servire prus pagu de su pagu chi serbiat! Ant mortu fintzas s’isperàntzia inoghe, salvu cussa de fuire!

  8. angelo ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 18:24

    certo che ci stiamo suicidando!
    la nostra educazione ormai la impartiamo ai nostri cagnolini e ai nostri gatti…
    quei pochi bambini che stiamo mettendo al mondo (perchè non abbiamo abbastanza soldi per camparli! non come i nostri genitori che invece navigavano nell’oro!) diventeranno spettatori di un pianeta in mano ai cinesi. quelli si che fanno figli! mangiano poco, pensano ancora di meno (che tanto a pensare per loro c’è il partito) e non hanno altro dio che lo smartphone.
    e della salvaguardia ambientale gliene sbatte una beata minchia
    qualunquista, vero?

  9. Milena ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 16:48

    Scusate tanto, ma io vi chiedo se avete fatto caso alla fonte del messaggio. Da millenni il celibato ecclesiastico proibisce a uomini sani e intelligenti ( l’agnello non deve avere difetti) di mettere su famiglia e prendersi la responsabilità di portare avanti l’opera creatrice e oggi vengono a dire a chi lo ha fatto da sempre: “Cosa fate?”. Francamente se a qualcuno piace dedicarsi alla propria passione/missione/fede e per ciò rinuncia a tutto il resto, come può criticare gli altri. Non esiste un “io posso ma tu no” !
    Non possiamo parlare di suicidio solo quando ci fa comodo, perché il sistema non regge più le nostre scelte. La parola insegna e l’esempio trascina! Basta parole! Diamo l esempio.

  10. Antonio ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 13:21

    in Sardegna pensano alla carriera

  11. Ginick ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 13:06

    Egr Prof,
    il discorso di grande valore umano fatto dall’arcivescovo rimarca ed evidenzia le grosse difficoltà del rapporto umano, dovuto al crescente disagio sociale che vive la nostra società. Il declino delle nascite ha trovato e trova giustificazione nel pessimismo,talora concreto , che ci circonda. Viviamo i disagi delle periferie, ma fingiamo di non vedere che tantissimi giovani vivono una vita ben diversa di quella di soli 50 anni fa. Macchine ,moto, cene al ristorante,serate nei pub, nei locali alla moda. Fare le ore piccole anni fa voleva dire rientrare a casa max alla una di notte,ora dobbiamo parlare di uscire nelle ore piccole e rientrare nelle ore medie( 6/7 del mattino) a bordo di macchine sempre più chic, dopo aver fatto il pieno di qualunque tipo di “bevanda “e/o “sostanza” E ciò sarebbe il disagio sociale che ci impedisce di non avere figli perché non sappiamo come sbarcare il lunario?
    In troppi casi la povertà, quella vera, la fa da padrona, eppure proprio lì si ha la minore decrescita umana! Ma come fanno se poi,da quei nuclei familiari abbiamo i migliori esempi dei nostri giovani? Tanti laureati, diplomati vengono da lì, ma in quelle famiglie il decoro,il lavoro, sovente mal retribuito sono il timone che guida i loro genitori. È la speranza in un futuro migliore che ha fatto crescere la società. Non è il pessimismo di cui si va impregando sempre più il mondo moderno. Oggi viviamone i momenti peggiori dopo il secondo conflitto mondiale. Le guerre, l’ inquinamento,non solo ambientale, ci condizionano e il pessimismo che subdolo ci pervade ci porta alla denatalità, all’eutanasia al non credere in noi stessi.
    Se il mondo occidentale non si sveglia da questo torpore ritorniamo al più buio medioevo già vissuto dai nostri avi e dovremo attendere un nuovo rinascimento con l’ unico dubbio di vedere se saremo tra gli artefici principali o altri prenderanno il nostro posto!.
    Cordiali saluti

  12. fabrizio santoni ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 08:19

    Ottima omelia e ottimo che il prof manichedda ci ha fatto gustare questa lettura. Quanto ha ragione il card lepore. Se Torino e’ messa male come lo siamo noi ? Abbiamo dieci vescovi e non sono in grado di fare una sola omelia come questa, non sono in grado di pensare a una “pastorale d’insieme” in una piccola regione come la
    nostra. Ai nostri politici neanche uno dei dieci alza la voce o fa proposte di senso, bensì chiedono finanziamenti per oratori vuoti , senza progettualità , altresì chiedono e si fa “uno” di loro finanziare giornate di pastorale del turismo per i forestieri…. e le nostre città e paesi vuoti di “spirito” abbandonate da tutti privi di servizi essenziali . Il deserto avanza

  13. Mario Pudhu ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 07:11

    Cantu tenet resone su Cardinale de Torino! Préiga chi donzi cristianu (batizadu e chentza batizadu) depet cumpréndhere!
    Semus faghindhe de sa vida una cosa assurda, maca, chentza sensu, «suicida».
    Ma in d-una inviciltade a economia dominante irbariada, de domìniu, de gherra, «omicida», kamikaze, a irrichimentu e irvilupu illimitadu a sempre prus disastrosu a calesisiat costu e impoverimentu ma a cossumismu airadu illimitadu, ispinghindhe totu s’umanidade a s’airada, ite àteru est si no cosa de kamikaze?

  14. massimo ha detto:
    1 Luglio 2025 alle 07:05

    .. grazie per questo richiamo Prof .. in questo contesto ritengo importante sottolineare il valore di chi opera per sostenere le vite presenti, per dare loro dignità … se crede, grazie a persone come Ugo Bressanello.

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