di Paolo Maninchedda
Mi chiedevo quando sarebbe successo di nuovo, e puntualmente è successo.
Ho scritto, con ferma coscienza, che il buco della sanità, dopo due anni di governo, è un problema e una responsabilità dell’attuale Giunta. Lo dico e lo penso perché se è vero che il deficit 2014 è stato prodotto da manager nominati dalla Giunta precendente, la politica che controlla questa spesa è tutta nell’attuale Giunta. Dal mio ingresso in Giunta – e i colleghi possono confermarlo – ho sempre detto che l’errore è accettare che la spesa sanitaria sia conosciuta dalla Giunta sempre a consuntivo e sempre con circa tre mesi di ritardo. Sono stato messo in minoranza e disciplinatamente ci sono stato.
Poi è accaduto che la prima legge finanziaria fatta da questa Giunta, abbia sancito in legge (art.29, c.6, Legge regionale 5 del 9 marzo 2015) che la sanità si finanzia in deficit e non a budget. Ho contestato in Giunta questa scelta, ma sono stato messo in minoranza e il gruppo consiliare del mio partito ha lealmente sostenuto la legge finanziaria pur dissentendo su questo fatto specifico.
Io, invece, ero il padre, con Gianvalerio Sanna, della legge abrogata dal comma 6 della legge 5 del 9 marzo 2015. Cosa diceva la vecchia legge (legge regionale 6 del 2012, art. 3 comma 1)? Una cosa semplice e chiara: «A partire dall’anno 2012 il Servizio sanitario regionale non è finanziabile in deficit».
Qui sta il punto, un punto che esprime differenti posizioni su una questione cruciale quale la sanità. L’attuale Giunta ha scelto il finanziamento in deficit. Io non sono d’accordo.
Adesso siamo in deficit e, peggio, non si ha sotto controllo la spesa perché ne si ha coscienza solo a consuntivo. Ma la cosa peggiore è che, dopo aver legittimato il deficit, si dice che non è colpa propria ma altrui. Rivendico il diritto di dissentire e di mantenere la mia posizione e di considerare un problema politico serio la teoria e la pratica del deficit in sanità.
Infine è comparso il solito Soru che, senza neanche porsi il problema di discutere del merito della questione sanitaria che sta devastando la spesa regionale, mi rimprovera di essere stato in maggioranza nella scorsa legislatura, dimenticando però di dire che i voti del mio partito hanno consentito al centrosinistra sardo di vincere le ultime elezioni. Per il resto, gliel’ho già detto altre volte, non lo riconosco giudice della mia coerenza, che è comunque tale da non avere io mai posseduto o edificato case vicino ad aree pregiate, o vicino al mare, o vicino a lagune, non ho mai posseduto aziende in paradisi fiscali, non ho mai da proprietario di aree pregiate fissato le regole per le aree pregiate e poi usato le regole da me fissate come proprietario di quelle aree, non ho mai fondato partiti e poi, dopo aver acceso entusiasmi, spento ogni speranza liquidando quei partiti come se fossero proprietà personali. Ho sempre teorizzato, per la prima volta nel 1994, la nascita di un Partito dei Sardi e su questo obiettivo si misura la mia coerenza. Oggi lavoro sinceramente a rendere coeso lo schieramento progressista e a far nascere il partito della Nazione Sarda. Evito accuratamente i motivi di dissenso con gli alleati e collaboro strenuamente con le amministrazioni sarde. Per cui, la politica è politica ed è più che legittimo che si abbiano idee diverse sulla sanità, se invece siamo inteferiti da problemi antropologici di fegato, dobbiamo per l’appunto rivolgerci per un consulto all’assessore alla sanità.
Che la spesa sanitaria sventri il bilancio della Regione è cosa vera e risaputa, almeno quanto è autentico lo sdegno misto a vergogna che puntualmente provo ogni volta che i malati di Sla protestano sotto l’Assessorato di via Roma e penso alle esorbitanti spese di mantenimento dell’elefantiaca macchina amministrativa della Sanità… e sue derivate!!! Frenare la spesa sanitaria? Allo stato attuale è praticamente impossibile. C’è una distribuzione talmente asimmetrica della spesa c.d. sanitaria da far paura. E sul perché la concentrazione e la persistenza nel livello della spesa sanitaria non accenni nel tempo a diminuire la politica davvero ne ignora le cause? Negli anni a venire, se Dio vuole e non solo in Sardegna, ci troveremo a dover garantire (giustamente) assistenza sanitaria a percentuali sempre maggiori di popolazione civile ‘non istituzionalizzata’. Se i livelli di spesa persistono – sempre che siamo tutti d’accordo che l’obiettivo primario della sanità sono le cure – la guarigione – la prevenzione – le cose sono tre: o si fa falsa prevenzione, o le cure sono inefficaci, o si finanzia qualcosa di fallace, che sanità in senso stretto non è, o per niente è sanità. Oppure si mantengono delle cattedrali di potere, secondo la logica dell’interesse privato, che quasi sempre spiega tutto. E’ opinabile, ad esempio, è m’infiammo a dirlo, che l’informatizzazione sanitaria sia sanità piuttosto che altro (tutti i progetti di e-government sono ricalcabili a carta a carbone e soggetti a riuso!!!), è opinabile che tutte le politiche per la famiglia o la lotta contro la povertà o la discriminazione o l’emarginazione (tutte cose giustissime, per carità) debbano essere a carico alla Sanità. Saranno allora i modelli e i paradigmi di gestione ad essere alterati nella sostanza? Oppure non funzionano? Oppure si ha interesse politico a mantenere questo stato di cose? Sul versante strettamente sanitario non va tagliato nulla, non scherziamo, la sanità casomai va implementata, bisogna riorganizzarla ogni volta, dinnanzi all’aumento dei fattori di rischio di malattia, alla necessità di screening, alle malattie croniche, alle disabilità funzionali, alla vecchiaia, all’esasperazione stessa delle terapie, vieppiù parafarmacologiche, consigliate come necessarie dai medici: bisogna appunto riorganizzare ed economizzare. Ma se si pensa che territorializzare la spesa od organizzare le macroaree sia tutto e il massimo che si può fare… beh allora, siamo decisamente fuori strada. Troppe le implicazioni della spesa concentrata: si mantengono gli stipendi pubblici (anzi oggi non si riesce più ad assicurare neppure quelli), si mantiene il business della sanità privata attraverso la non suddivisione di budget per gruppi di spesa e di patologia; si mantiene il business dell’informatizzazione sanitaria concedendogli un iter gestionale tendente all’ infinito e assolutamente fuori controllo. Nessun controllo o deterrente o penale dinnanzi a progetti informativi sempre in ritardo (SisAR, Medir ecc.); ‘bontà di progetti’ che dovevano incardinare entro regole certe la rendicontazione della spesa sanitaria e la spesa farmaceutica. Invece sono progetti che non si mandano mai definitivamente a regime, o che non vedranno mai la luce… speriamo bene. La concentrazione della spesa sanitaria non necessaria da un lato, e la dissipazione laddove indispensabile, ha diverse implicazioni per la politica sanitaria. Ma non si doveva puntare sul mantenimento della popolazione sana, con la possibilità di portare a risparmi nel lungo periodo, evitando o ritardando l’insorgenza di malattie croniche? Non si doveva controllare la performance dei servizi sanitari, attraverso programmi di salute orizzontali e verticali, controlli di conformità e quant’altro che avrebbero portato alla razionalizzazione della spesa per distretti? Oggi si conferma necessario aumentare l’aderenza delle terapie ai pazienti (e ai territori) e non ci sono abbastanza soldi. Sul perché la sanità sia finanziata in deficit e non a budget la spiegazione è semplice e fin troppo banale. La spesa sanitaria è, per definizione, prevedibile nella parte burocratica, imprevedibile ed anzi destinata ad aggravarsi e ad esasperarsi nella parte relativa all’assistenza prevenzione e cura. E’ indispensabile risparmiare diminuendo la burocratizzazione e l’indotto della sanità e si scansa il discorso. Unica cosa che ci salva: la sanità in altre regioni d’Italia è commissariata; da noi per fortuna no, nonostante le difficoltà relative al piano di rientro del debito pubblico. Il grande ombrello del SSN copre il piccolo ombrello del SSR che a sua volta copre sia la sanità pubblica che quella privata. Ma privato in Sardegna, con poche eccezioni, è pubblico camuffato, in genere è convenzionato rimborsato. Che fa profitto, cade in disgrazia e si rialza. Per me la sanità dovrebbe essere solo pubblica, se non offre di più. Salverei soltanto la riabilitazione privata, la lungodegenza, l’assistenza in fin di vita, la terapia del dolore… Questi sono i settori da devolvere interamente all’iniziativa privata. Per il resto la sanità pubblica è per definizione un settore obbligato ad andare in pari, che dovrebbe rispettare dei piani di spesa e di rientro nel medio e lungo periodo attraverso dei modelli di performance e di spesa chiari ed attendibili, che dovrebbe essere soggetta a controlli di qualità per non creare pazienti di serie A e di serie B, che non dovrebbe tollerare ritardi diagnostici e terapeutici, e che non può fare profitto senza un interscambio culturale e di risorse che incameri opzioni di ricerca, sperimentazione e cura provenienti da settori e sostenitori esterni privati. Viceversa tanto incameri, tanto spendi e anzi sempre di più. Terrei da parte i dissensi elettorali di fronte al discorso serio della sanità e alla difficoltà, sempre più preoccupante, di mantenere i livelli essenziali di assistenza.
Finalmente segni di vita e fibrillazioni atriali, sempre meglio della calma piatta, del silenzio e della disciplina a tutti i costi a discapito degli interessi dei Sardi. Tuo Padre, il grande cardiologo Dr. Maninchedda, sarebbe stato certamente orgoglioso di te. Dopo essere rimasto sino ad ora ad osservare in silenzio, per lungo tempo, mi permetto di auspicare, sempre nell’interesse dei Sardi, un segnale di vita anche da parte dell’Assessore al Lavoro che ceda il passo alla disciplina. Nessuno si offenderà. Vorrei si entrasse nel merito, per discutere del perché la tanto sbandierata Flexycurity non potrà mai decollare in Sardegna e del perchè il Jobs Act di Renzi, porterà benefici solo per le grandi aziende multinazionali che continuano impunemente ad attingere dalla mangiatoia di Stato, mentre non porterà mai alcun beneficio per le tante aziende sarde e per i tanti lavoratori sardi. Auspicherei si entrasse nel merito di quel segno più, doppato, sull’occupazione e si discutesse della emorragia inarrestabile e preoccupante, tutt’ora in essere a Cagliari e provincia, di posti di lavoro in uscita, in un solo colpo, 42, 123, 80, 40 e di altro ancora. Vorrei si parlasse delle aziende virtuose i cui titolari consolidano la forza lavoro, investono nella formazione delle risorse umane, nella sicurezza, non mandano a casa i 45enni, sostituendoli con nuova forza lavoro, per beneficiare degli sgravi e degli aiuti di stato, non girano con macchinoni, non hanno lo yacht e pagano le tasse. Mi scuserete se sono stato indisciplinato.